KK PRIEST "Sermons Of The Sinner"

di Arturo Celsi
01 ottobre 2021

intervista

KK Priest
KK Downing
Sermons Of The Sinner
Dieci brani duri, potenti e chiaramente provenienti dalle mani di chi era lì quando l’heavy metal si faceva sentire per la prima volta, questo è Sermons Of The Sinner, il nuovo album di KK Downing. Messa definitivamente da parte l’opportunità di rientrare nella sua storica band, i Judas Priest, KK Downing è tornato in studio di registrazione per dare vita ai KK Priest, una nuova proiezione di quel suo percorso iniziato all’inizio degli anni Settanta.

70 anni compiuti da poco, un palmares di album che sono vere e proprie pietre miliari, e ancora tanta voglia di proseguire in quel viaggio sonoro che ha dato tutto per la causa del metallo. KK Downing è uno degli originali, uno di quelli che possono dire “io c’ero quando tutto era ancora soltanto un’idea”, Sermons Of The Sinner non vuole però essere un lavoro autoreferenziale, ma piuttosto un tributo ad un genere e ad un modo di fare musica tanto semplice quanto efficace.

Uscito l’1 ottobre per Explorer1 Music, Sermons Of The Sinner vede KK Downing affiancato nuovamente da altri due ex-Priest come Tim “Ripper” Owens e Les Blinks, e così proprio con KK abbiamo parlato della sua lunga carriera e di come questo...

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nuovo album abbia buttato nuova benzina su una fiamma mai spenta.

Ciao KK, come stai? Come vanno le cose?
Ciao ragazzi, sono molto contento di parlare con voi oggi. Direi che procede tutto abbastanza bene, considerato il periodo. Mi sto preparando all’uscita dell’album e sto cercando di portare a termine interviste e promozione, così da essere presto pronto per il tour. In generale quindi, non mi posso lamentare.

Il fatto di poter organizzare un tour, dopo lo stop forzato che viviamo ormai da più di un anno, è effettivamente qualcosa di fantastico.
Oh sì, è una sensazione incredibile. Avevamo degli show già programmati per il 2021, ma la verità è che anche cercando di non lasciare nulla di intentato, abbiamo dovuto spostare tutto al 2022. Ne va della sicurezza delle persone e vogliamo poter organizzare una serie di date che siano un divertimento per i fan, non qualcosa di rischioso e problematico. L’uscita dell’album stesso è stata rinviata più volte, ma finalmente è disponibile per tutti i fan, e pertanto penso di poter dire che con i primi mesi del nuovo anno seguiranno anche le prime date dal vivo. Non vedo l’ora.

Sermons Of The Sinner segna il tuo ritorno alla musica dopo un periodo di stop considerevole, com’è stato tornare al lavoro?
Devo dire che è stato qualcosa di stupendo, non ci sono molti altri modi per descriverlo… Anche se vorrei anche sottolineare che malgrado io mi sia preso una pausa dal fare musica, non mi sono mai realmente distaccato del tutto da questo mondo. Ho lavorato moltissimo come produttore ed in diversi altri ambiti, quindi è stata più una lunga vacanza.

Pensi questo distacco temporaneo ti abbia dato modo di vedere le cose in maniera diversa? Una prospettiva diversa, se vogliamo…
Certamente, ed ora che questo album è realtà me ne accorgo in maniera molto più chiara. Penso che staccarmi da quello che è stata la mia routine per molti anni, mi abbia semplicemente dato modo di ricaricarmi e tornare con una vena più fresca, come spesso succede in questi casi.

E così sono nati i KK Priest…
Esatto. Era il Natale del 2019, ricordo bene che quel giorno, essendomi un po’ annoiato in una di quelle lunghe giornate di festa, ero sceso in studio di registrazione. Non avevo ancora in mente nulla in quel momento, ma avevo iniziato a ragionare sul tornare a fare musica in maniera stabile. La prima cosa che ho fatto è stata chiamare i miei vecchi compagni di gruppo dei Judas Priest, per chiedere se le porte della band fossero definitivamente chiuse per me, oppure se ci fosse una possibilità di tornare a farne parte. La risposta che ho ricevuto è stata di una chiusura definitiva, e così ho iniziato a rimuginare sul da farsi. I KK Priest sono nati un po’ di tempo dopo, inizialmente tutto si è svolto nella mia testa e nel mio studio di registrazione. Volevo capire se oltre ad aver voglia di suonare con qualcuno, avessi anche un nuovo album dentro di me. Così non ho fatto altro che chiudermi in studio per quattro settimane, al termine delle quali avevo completato la maggior parte della musica e dei testi che sono finiti su Sermons Of The Sinner.

Mentre i tuoi nuovi compagni di gruppo come sono entrati nel progetto?
Beh, dopo aver completato la scrittura ho subito compreso che non avrei mai voluto registrare un album solista, e con ciò intendo uno di quei dischi dove un solo musicista suona la maggior parte degli strumenti. Sono cresciuto con il concetto di band sempre fisso nella testa, e così ho iniziato a chiamare alcuni dei miei amici più stretti. Ho chiamato il mio buon amico Les Blinks alla batteria, anche lui ex-Judas Priest. Io e Les inoltre abitiamo molto vicini quindi durante la scrittura e registrazione ci siamo confrontati di continuo. Purtroppo Les non sarà in tour con noi a causa di un infortunio e sarà temporaneamente rimpiazzato da Sean Elg, ma ci raggiungerà non appena potrà. Sono riuscito ad avere anche Tim “Ripper” Owens a bordo, e questo mi ha reso veramente molto felice. I vari pezzi del puzzle sono andati a sommarsi molto velocemente e questo mi ha fatto sentire molto fiducioso che si potesse fare qualcosa di buono.

Pensi che questo album ti abbia dato la possibilità di fare qualcosa che con i Judas Priest non eri riuscito ad esprimere?
Probabilmente sì, ma credo che sarà più chiaro con il passare del tempo. Sicuramente posso dire che questo album è fondamentalmente l’album che i Judas Priest avrebbero registrato se fossi stato io ad avere il controllo di ogni decisione. Il fatto è che con una band non funziona così ed è anche un bene in molte occasioni. Ad ogni modo questo album è sicuramente una prosecuzione di ciò che ho fatto con i Judas Priest.

Motivo per il quale hai chiamato il nuovo progetto KK Priest…
Sì esattamente. Non volevo troncare i ponti con il passato, perché al di là di come sono andate le cose con i miei vecchi compagni di gruppo, i Judas Priest sono stati la mia vita dal 1974 al 2009… Sono tantissimi anni e per me sono stati incredibili. Non avrei mai voluto abbandonare tutto ciò che ho fatto in passato così, senza dare una sorta di seguito o collegamento con il futuro. Ecco quindi il perché di questa nuova band ed il perché del nome, anche se - come sapete - quest’ultimo ha causato qualche problema… Ma quelle sono altre questioni che non hanno nulla a che fare con la musica. Il nome della band racchiude la mia volontà di continuare ad essere un Priest, questo perché ci sono dei musicisti che stanno suonando i miei brani con i Judas Priest… Perché io non posso essere un Priest? Lo sono da sempre e non smetterò certo ora.

Sermons Of The Sinner, forse proprio per le circostanze in cui è nato, emana molte sensazioni positive. C’è del gran bel materiale al suo interno, tutto suona molto coeso, ed in generale sembra un album nato sotto una buona stella.
Grazie, è quello che ci siamo detti con gli altri membri del gruppo quando abbiamo ascoltato le versioni definitive dei brani. C’è qualcosa in questo nuovo album che fa vibrare di energie positive quando lo si ascolta, e penso che sia dovuto al fatto che quando l’ho scritto sono tornato con la testa a quando ho iniziato a suonare. Vedete, negli anni ‘60, quando ero un adolescente c’era tanta bella musica, c’era Hendrix, c’erano i Purple, ma non c’era quello che volevo veramente ascoltare. Adoravo Hendrix, lo adoro ancora oggi, ma quello che ho imparato da lui è che bisogna sempre cercare di creare qualcosa che ci rappresenti. Allora non esisteva ancora un tipo di musica che mi rappresentasse completamente, l’heavy metal non era stato inventato, e così molti ragazzi come me hanno iniziato a fare qualcosa perché quel tipo di musica prendesse vita. Oggi molti critici diranno che questo album è “old school”, o probabilmente che per vecchi… Ma la verità è che per quanto mi riguarda si tratta di una celebrazione di ciò che la musica ha rappresentato per me. Credo sia un album che ho realizzato anche perché venga tramandato ai più giovani. Ho 70 anni e non sarò qui per sempre, facciamo in modo che almeno la mia musica resti (ride).

È molto importante che chi - come te ed i Priest - ha contribuito alla nascita di qualcosa di nuovo, come è successo con l’heavy metal, serva da esempio per le nuove leve. C’è da dire che Sermons Of The Sinner potrà essere old school nell’animo, ma sound e produzione sono estremamente attuali.
Credo tutto abbia sempre a che fare con il mood positivo che ha circondato la realizzazione dell’album. Il sound del disco e la produzione non sono certo quello che ci saremmo aspettati di ascoltare negli anni ‘70 quando abbiamo iniziato con i Priest, oggi è tutto più potente, più definito e credo che per molti versi aiuti alcuni riff a suonare molto più taglienti e cattivi di quanto avrebbero potuto fare altrimenti. Per quanto gli album registrati oggi mi piacciano moltissimo, e per certi versi è molto più semplice completare un album in studio oggi di quanto non lo fosse anni fa, continuo a credere che quei dischi e quei brani registrati negli anni ‘70 abbiano un valore enorme. Il motivo è che quegli album incarnano alla perfezione una spinta emozionale che veniva dal voler creare qualcosa che era soprattutto nella mente di una generazione di giovani musicisti.

Sermons Of The Sinner prende quindi il lascito di quei dischi e li trasporta ai giorni nostri?
Sì, direi di sì, senza però forzare la mano su niente. Si tratta semplicemente di brani di heavy metal suonato nell’unico modo in cui so suonare. Certamente non ho cercato di aggiornare la mia formula per piacere di più ad un nuovo tipo di pubblico, sono troppo vecchio per quelle cose. Non voglio creare grandi mitologie attorno ai miei brani o al modo in cui suono, io sono semplicemente io, e penso di aver sempre voluto fare soltanto una cosa: suonare quel tipo di musica che mi facesse vibrare così come ha fatto Hendrix la prima volta che l’ho ascoltato. Il fatto è che per me Jimi resterà sempre l’eroe che mi ha mostrato la via da seguire. Quando l’ho sentito per la prima volta in concerto ricordo che ha aperto lo show con Foxey Lady, ed il volume che mi ha investito, così come la carica dirompente della sua chitarra, mi hanno mostrato che esisteva qualcosa su cui potevo basarmi per dare vita al mondo sonoro che avevo in mente. Le basi sono state il blues, questo vale per tutti quelli che come me e i Priest hanno iniziato negli anni ‘60, e da lì abbiamo elaborato qualcosa che esisteva inizialmente soltanto nella nostra mente. Sermons Of The Sinner è l’estrema prosecuzione di quel percorso creativo, ma soprattutto è un album realizzato senza compromessi. Non ci sono brani pensati per la classifica, non ci sono tracce create a tavolino per suonare in uno specifico modo, è un album heavy metal, scritto e suonato così come ho sempre pensato andasse fatto. A posteriori posso dire che trovare la porta della mia vecchia band chiusa non è stato completamente una sconfitta.

Malgrado si possa riassumere il tutto con il termine heavy metal, ci sono molti brani in questo nuovo album che potremmo citare come highlights… Hellfire Thunderbolt, Raise Your Fists, Metal Through and Through, Return of The Sentinel… Insomma si tratta di un lavoro variegato oltre che ispirato.
Grazie, sono contento la pensiate così. Scrivere in modo che l’album abbia i suoi momenti più potenti, quelli più oscuri, e quelli un po’ più riflessivi, è qualcosa che ho sempre fatto anche con i Priest. Si tratta di un modo di concepire i brani che passa per forza da una tracklist e non da i singoli pezzi estrapolati in maniera indipendente. Anche questo è qualcosa che appartiene ad un modo di fare musica un po’ “old school” ormai, ma non conosco altre vie…

E con la chitarra invece? Con il passare del tempo continui a sperimentare vie nuove, oppure ti sei concentrato maggiormente sul mantenere solide le tue basi con delle routine di esercizi regolari?
In tutta onestà ultimamente ho suonato davvero poco, perché la pubblicazione di un album implica il dover fare così tante cose che prendere in mano la chitarra è stato davvero difficile. Negli anni ho sempre cercato di guardare fuori dal mio orticello, perché trovo che la chitarra sia uno strumento capace di espandere il proprio range soltanto nel momento in cui proviamo a spostare continuamente il nostro limite tecnico.

Hai voglia di parlare un po’ dell’evoluzione dei tuoi strumenti? Come è cambiata la tua strumentazione nel corso della tua carriera?
Wow… Non so se ne sono capace, perché - e vi svelerò anche qualcosa che è accaduto con l’avanzare dell’età - molte cose non le ricordo ed altre non mi interessano più (ride). A cambiare maggiormente è stata la tecnologia con la quale chitarre e amplificatori vengono realizzati… Quando ho iniziato a suonare tutto era una scoperta, c’era fame di conquista e tutti i brand si inventavano qualcosa di nuovo quasi ogni giorno. Successivamente si è arrivati ad un punto in cui le cose da inventare erano meno, e c’era molto di più da lavorare sul renderle migliori. Oggi viviamo in un periodo di prodotti incredibili, ci sono dei software che suonano in un modo che è quasi difficile da comprendere per quanto è buono. La qualità di ciò che abbiamo a disposizione oggi ha fatto sì che negli anni perdessi sempre più interesse per tutto quello che riguarda la strumentazione. In tutta onestà non so neanche dirvi cosa ho usato per questo nuovo album, perché nel mio studio ho talmente tante chitarre e amplificatori accumulati negli anni che non bado più troppo a quello che uso. Quello che mi interessa è il risultato finale, e così è stato anche per Sermons Of The Sinner.

È un traguardo notevole per un chitarrista, non trovi? Sapere di poter usare qualsiasi tipo di strumento senza doversi preoccupare di farlo suonare in un certo modo… È decisamente qualcosa che molti non arrivano mai a sperimentare.
Indubbiamente è molto bello, perché ti permette di essere molto più rilassato in studio di registrazione. Tutto è più facile quando pensi alla musica e lasci perdere le inezie. Questo non vuol dire che ogni suono va preso per buono, ma vuol dire che nel corso degli anni sei riuscito a sviluppare un tuo tocco ed un tuo modo di suonare in grado di annullare le differenze tecniche date dai vari “prodotti” che usi. Il suono è nelle mani, si dice spesso, ma è soprattutto nella testa e nella consapevolezza di come utilizzare le tue capacità tecniche. Con l’essere vecchi si guadagna molta spensieratezza su molti argomenti, e la strumentazione è sicuramente uno di questi. Ovviamente anche io nella mia carriera ho speso la mia gigantesca mole di soldi e di ore a provare nuovi effetti, nuovi amplificatori e nuove chitarre… E mi fa sempre piacere poter provare una buona chitarra, ma non mi interessa così tanto da distogliere la mia attenzione dalla musica e dai brani che sto scrivendo.

Direi che questo è un buon modo per concludere questa chiacchierata. KK, ti ringraziamo del tempo che ci hai concesso e ci lasciamo aspettandoti presto in Italia.
Non appena sarà possibile passerò a trovarvi. L’Italia è sempre stata molto accogliente con me. A presto!

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