THE INSPECTOR CLUZO "Less Is More"
di Francesco Sicheri
01 giugno 2025

intervista
The Inspector Cluzo
Laurent Lacrouts
Less Is More
The Inspector Cluzo, duo francese di origini guascone, sono una delle realtà più originali e radicali del rock contemporaneo. Senza basso, senza backing track, senza compromessi: solo chitarra, batteria e una filosofia sonora che fonde hard rock, blues, funk e protesta sociale.
La musica è solo una parte della storia di The Inspector Cluzo. Laurent e Mathieu, infatti, sono anche agricoltori biologici a tempo pieno: nella loro fattoria Lou Casse, nel cuore delle Landes francesi, coltivano la terra e allevano oche in totale autonomia, inseguendo pratiche ecosostenibili. È da questa doppia vita – tra palco e campi – che nasce l’anima del loro nuovo disco, Less Is More, che non è soltanto un titolo, ma anche un manifesto che riflette la loro visione artistica e umana. Un ritorno all’essenziale, un gesto punk in un mondo iper-prodotto.
In occasione del loro decimo album, Less Is More, in uscita il 6 giugno 2025 su The Bass Player Records/Virgin UK, abbiamo incontrato Laurent Lacrouts, chitarrista e co-fondatore degli Inspector Cluzo.
Ciao Laurent! Innanzitutto, complimenti per il disco. Il sound ha davvero un grande impatto, e ti arriva dritto in faccia. Immaginiamo che rifletta il vostro approccio con la vita, senza compromessi....
l'articolo continua...
La musica è solo una parte della storia di The Inspector Cluzo. Laurent e Mathieu, infatti, sono anche agricoltori biologici a tempo pieno: nella loro fattoria Lou Casse, nel cuore delle Landes francesi, coltivano la terra e allevano oche in totale autonomia, inseguendo pratiche ecosostenibili. È da questa doppia vita – tra palco e campi – che nasce l’anima del loro nuovo disco, Less Is More, che non è soltanto un titolo, ma anche un manifesto che riflette la loro visione artistica e umana. Un ritorno all’essenziale, un gesto punk in un mondo iper-prodotto.
In occasione del loro decimo album, Less Is More, in uscita il 6 giugno 2025 su The Bass Player Records/Virgin UK, abbiamo incontrato Laurent Lacrouts, chitarrista e co-fondatore degli Inspector Cluzo.
Ciao Laurent! Innanzitutto, complimenti per il disco. Il sound ha davvero un grande impatto, e ti arriva dritto in faccia. Immaginiamo che rifletta il vostro approccio con la vita, senza compromessi....
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Sì, hai ragione. Però è difficile parlare di sé stessi, sai? Il disco è molto, molto vicino a quello che facciamo sul palco, ma con una produzione da studio. Quindi non abbiamo fatto l’errore, sai, quella trappola classica del cercare di registrare live in studio... che poi non funziona mai. Quando Vance Powell, il nostro produttore, è venuto qui alla nostra fattoria ha capito subito che tipo di disco volevamo realizzare. E così ha detto: “facciamolo come negli anni Novanta!” Non nel senso del suono, ma della realizzazione. Tipo Nirvana o Pearl Jam, quando entravano in studio, registravano praticamente tutto live perché quei brani li avevano suonati in tour almeno 500 volte. E così abbiamo fatto anche noi. Quindi abbiamo testato i brani durante il tour di Horizon. Ci siamo detti: “ok, arriviamo in studio preparati, registriamo tutto in quattro giorni. Niente click. Niente backing track.”
Avete scelto la persona giusta, perché Vance Powell è un esperto di quel tipo di approccio e di band.
È vero, ha costruito la sua reputazione catturando band come i C Sixty o The Raconteurs o anche tutti i progetti di Jack White. Che sono molto simili a noi, non dal punto di vista musicale, ma nell’approccio. Tutte queste band, o anche Chris Templeton, sfoderano un suono unico. Quindi per noi, il songwriting è l’80% del suono e del playing. E Vance sa come far rendere le cose in studio, e non è qualcosa di facile. Vance, inoltre è molto discreto, non è un produttore che ti dice “cambia questo” o che ti vuole costruire da zero. Ti considera già ben strutturato, per questo lavora solo con band dal suono unico.
Come cambia, giorno per giorno, la prospettiva che hai sulla musica in base al durissimo lavoro che fate tutti i giorni in fattoria?
Se sai cosa significa, allora sai anche che ti dà una base concreta. Anche perché, pur essendo agricoltori biologici, non giudichiamo chi fa agricoltura industriale, è sempre lo stesso lavoro: duro e nobile. Ogni agricoltore ti dirà la stessa cosa: è difficile, ti fa male la schiena e tutto il resto. Ma allo stesso tempo ti nutre. È un processo naturale. È vita. Per tornare alla tua domanda, penso che il blues venga da lì. E così anche la nostra musica. Noi siamo dei Béarnais, quindi non siamo nati nelle piantagioni di cotone, abbiamo l’oceano e i Pirenei, ma è comunque lo stesso spirito. E lo puoi ritrovare anche in Argentina o in qualsiasi altro Paese. C’è una connessione. E penso che la nostra musica emerga anno dopo anno, proprio grazie alla connessione con il nostro lavoro quotidiano. Lavoriamo sempre. Rivediamo le cose, cerchiamo di migliorare, cerchiamo la melodia, le note. Per questo disco abbiamo passato più tempo a scegliere la combinazione giusta di ampli, preamp, microfoni e altro, che a suonare i pezzi. Li abbiamo registrati in tre take, perché li conoscevamo a memoria. Quindi si trattava solo di sentire e catturare il feeling. È stato un po’ come l’approccio della Stax Records, vecchia scuola.
E, quindi, cercando di mettere tutto insieme, che non dev’essere facile. Ma, tra il primo disco e l’odierno Less Is More, che tipo di musicisti vedi quando ti guardi indietro e quando ti guardi adesso?
Domanda curiosa, perché ho riascoltato il primo disco due settimane fa. Non l’avevo più ascoltato perché per me, quando un album è finito, è finito. Non lo riascolto più. E poi abbiamo già scritto sei brani per il prossimo e undicesimo album. Non so se verrà mai pubblicato, questo è un business completamente folle. Comunque, quando abbiamo registrato il primo disco eravamo molto creativi. C’era una vena di follia e sperimentazione che a dirla tutta sento ancora oggi, anche a livello armonico. Ho iniziato come sassofonista, e poi trombettista, da piccolo. Per questo il nostro approccio è un po’ jazz e blues. Ho iniziato a suonare la chitarra a 17 anni. E riascoltandolo ho percepito che avevo già l’estensione di quattro ottave nella voce, ma non la usavo bene. È come certi giocatori di rugby delle Fiji: fisicamente eccezionali, fanno cose incredibili, ma poi magari attraversano tutto il campo e perdono la palla perché si mettono a sorridere a qualcuno sugli spalti. Il primo disco degli Inspector Cluzo è un po’ così. Si percepisce che c’era del potenziale, ma a volte finiva in un “che cavolo stiamo facendo?” Però ci sono buone canzoni, perché quelle due giornate migliori – le migliori in assoluto – c’erano già nel primo disco. E non ci sono regole per scrivere una buona canzone. È pura arte. Ritengo che oggi il nostro songwriting sia più regolare, più... strutturato.
Anche più mirato, probabilmente...
Sì, più focalizzato su tutto. E non è solo questione di esperienza. È che abbiamo imparato di più. Siamo cresciuti come musicisti, autori. E spero che, se ci sarà un undicesimo album, sarà migliore di quello di oggi. Altrimenti non lo pubblicheremo.
Il sassofono, che è lo strumento con cui hai iniziato, espone le melodie in modo lineare perché l’unica “corda” è il fiato. Nel tuo modo di suonare i riff con la chitarra c’è sempre una melodia che si intreccia con i power chord. Dici che questo provenga dal tuo background di sassofonista?
Sì, tutto viene da lì. Ho suonato anche altri strumenti, quindi quando sono passato alla chitarra ricercavo le note singole, come hai detto tu. Con i Cluzo utilizzo accordature aperte che sono mie, modificate, perché ricerco quelle note che si sposano con la mia voce. Insomma, con la chitarra cerco di costruire accordi e melodie che siano coerenti con quello che canto. Me ne sono reso conto chiaramente quando nel 2022 abbiamo fatto un concerto con l’orchestra sinfonica di Pau, a Montmartin. Puoi trovare degli estratti su YouTube. Abbiamo scritto degli arrangiamenti con loro, non volevamo il classico supporto orchestrale. Loro sono rimasti stupiti: nel rock è tutto rigido, invece noi... Il direttore ha analizzato le mie parti e ha detto: “Tu canti questo, questo e questo, ma suoni questi accordi... Guarda che armonia c’è!” E così ha potuto costruire parti per i tromboni e gli altri strumenti. Mi ha detto che “suoniamo grandi” non perché sovrapponiamo tracce di strumenti ma perché c’è armonia. Io faccio la tonica con la voce, poi la decima, la dodicesima minore, a volte la settima, la nona. Ma non lo faccio con un’intenzione calcolata a priori. Mi viene tutto naturale. Ho cambiato totalmente il mio modo di suonare per adattarmi ai Cluzo, alle regole che ci siamo dati: niente octaver, niente basso, niente backing track. Mi dispiace vedere tante band che non accettano questo genere di vincolo e chiamano in causa un altro chitarrista o le basi. Probabilmente dovrebbero chiedersi: “cosa posso cambiare del mio approccio per adattarmi?”. E magari riscoprire tutto da capo.
La musica degli Inspector Cluzo, e in particolare questo album, è molto ricca armonicamente parlando. Se ne percepisce la complessità anche se alla fine sono solo un paio di tracce sovrapposte...
Quel che facciamo è un lavoro d’ombra e solo le orecchie di un musicista possono coglierlo. Tu lo senti perché sei musicista e ci sei abituato, ma sì, io non sono il chitarrista spettacolare che fa cose pazzesche, ma costruisco tre strutture contemporaneamente. Quindi sì, è complesso, pur se in un altro modo.
Parli di lavoro d’ombra e questo ci riporta ancora una volta all’agricoltura. I contadini sono i veri lavoratori nell’ombra, nel mondo... che sia in una fattoria di carattere industriale, una piccola azienda, o una a conduzione familiare. La vostra musica e quello che fate… non è semplice trovare band che possano dire che la loro musica è esattamente ciò che sono. Ma i Cluzo invece lo possono dire.
Grazie. C’è un proverbio italiano sul cibo, no? “Sei quello che mangi.” E credo che valga anche per la vita che fai. La musica che facciamo è il risultato di quello in cui crediamo, non qualcosa che facciamo solo per vendere. E come ho detto prima, non pubblichiamo un disco se non è per noi migliore del precedente. E se non rappresenta ciò che ci dice la pancia. E anche la testa. Se ascolti Horizon, l’album precedente, lì eravamo concentrati sulla difesa della fattoria di famiglia, per via del cambiamento climatico e dell’aggressione dell’agricoltura industriale. Abbiamo scritto varie canzoni sulle rondini, ad esempio. E per tua informazione, le rondini sono tornate. Abbiamo due nidi. È bellissimo, la sera giocano con noi, sembrano fare una partita di calcio mentre stiamo in cortile con il cane. Per noi è importante. È anche importante per noi vendere al mercato quel che coltiviamo e alleviamo e quando la gente torna e dice “wow, che sapore”, sentiamo che sanno riconoscere il lavoro quotidiano che c’è dietro. Quando andremo in tour, tra poco, faremo delle degustazioni, in un bistrot di Bordeaux, ad esempio. E se la gente ci dice che la nostra band è esattamente come ci esprimiamo, è lo stesso che assaggiare un prodotto coltivato da te stesso. Come dicevi tu, a parte pochi artisti come Neil Young o alcuni musicisti africani o bluesman autentici, è difficile trovare musica che si connetta a qualcosa di reale.
Prima dicevi che per il nuovo disco avete lavorato parecchio sul posizionamento dei microfoni e sul suono dell’ampli. Cos’altro compone il setup che hai utilizzato?
Questa è la domanda che mi fanno i giornalisti di riviste come la vostra ed io sono la persona meno adatta per rispondere, ma ci provo comunque. Se Vince [Powell] fosse qui, direbbe che “non ce ne frega niente. O suoni bene, o no. La questione è tutta lì.” Io suono con la stessa chitarra da quando ho 17 anni, una Gibson SG Standard. Credo sia del 1993 e la paletta si è staccata ben tre volte. Cambio spesso accordatura durante uno show, ma la SG è l’unica chitarra che utilizzo. Ne ho un’altra su cui mantengo l’accordatura standard, ma non la uso così tanto. Per i miei 50 anni, però, ho deciso che mi regalerò una Gibson ES-335. Questo è tutto quello che posso dire riguardo alle chitarre...
Dietro di te si intravedono un Marshall JCM e un Tweed…
Oh sì, e anche un Bassman! Per quanto riguarda i live, però, li sostituisco con delle versioni cinesi, perché una band come noi non ha la possibilità di portarsi in giro strumenti vintage. È troppo rischioso. Naturalmente, in studio le cose sono diverse. A Nashville abbiamo registrato anche con un Ampeg, del quale non ricordo il modello preciso, nonché un Roland Jazz Chorus, un Fender Princeton e un Twin Reverb. Ah!... e per la prima volta ho provato anche un Supro 1x12”, non ricordo il modello, che mi è piaciuto moltissimo. Nel mio setup di base c’è comunque il Marshall JCM 800 ed è l’amplificatore che potrei usare sempre e per qualsiasi cosa riguardi The Inspector Cluzo. Con il Marshall costruisco il suono drive, mentre il Fender Tweed è sempre settato per i suoni clean. Fondamentalmente mi occorre per dare tridimensionalità al suono e una maggiore definizione. Mi dispiace non essere più preciso, non sono la persona perfetta per rispondere a questo tipo di domande!
Beh... non è così, come vedi abbiamo parlato dei tuoi strumenti in maniera adeguata.
Il fatto è che la mia strumentazione è parte integrante dell’approccio che adotto per suonare, pertanto, potrei utilizzare strumenti diversi per arrivare allo stesso risultato. Il singolo modello di chitarra o di un altro strumento non è di così fondamentale importanza per me. E’ così anche per la tecnologia applicata, quindi soltanto se può servire uno scopo sonoro¬. Di base, non sono interessato alla semplice bellezza di uno strumento in sé... pur se devo dire che quel Supro che mi ha prestato il mio amico Tyler Bryant, è veramente incredibile. Ora, ogni volta che andiamo a Nashville io gli porto un po’ di foie gras e lui mi presta il suo amplificatore! [ride]
Pare uno scambio interessante...
Lo è sicuramente.
Sappiamo che arriverete presto in tour nel nostro Paese, hai già delle date confermate?
Sì. Suoneremo a Milano il prossimo ottobre. Siamo sempre arrivati un po’ in ritardo in Italia, come in Spagna, ad esclusione dei Paesi Baschi, dove siamo un po’ “cugini”, diciamo. Comunque, ora ci stiamo concentrando proprio sul tour ed è per questo che stiamo facendo tante interviste prima della partenza.
Laurent, è stato un piacere parlare con te...
Vale lo stesso per me. Grazie per il tempo che avete dedicato a noi e alla nostra musica.
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