JAN ZEHRFELD racconta il nuovo album dei PANZERBALLETT

di Nena Lopez
01 aprile 2025

intervista

Panzerballett
JAN ZEHRFELD
Übercode Œuvre
All’improvvisazione propria del jazz, miscelata alle poliritmie più complesse e a un virtuosismo d’alta scuola, i Panzerballett aggiungono groove pulsanti e metal riff esplosivi, per un cocktail eccentrico ed originale, destinato agli intenditori dei gusti più intriganti. Tutto ciò viene servito sul piatto d’argento di "Übercode Œuvre", il nuovo album del quintetto teutonico.}

Nati a Monaco nel 2004, i Panzerballett si distinguono da allora per l’estremo virtuosismo messo al servizio di composizioni che miscelano jazz, standard, rock e funk perlopiù, poggiando su strutture che mutano l’identità e ogni volta si rigenerano, beneficiando di quella sofisticata maestria acquisita nei conservatori teutonici. E’ una danza variegata: “un delicato incastro di funky groove e brutalità, riff ritmicamente complessi e improvvisazione jazz...”, spiega il quintetto tedesco, e comunque una miscela ad alti ottani, destinata a uno shuttle in partenza per una missione anni luce lontana dal pianeta Terra.
Abbiamo incontrato Jan Zehrfeld, chitarrista dei Panzerballett e ci siamo fatti raccontare come sono nate le dieci tracce del loro nuovo album che hanno titolato ^Übercode Œuvre.

PANZERBALLETT: Jan Zehrfeld (lead guitar) – Heiki Jung (bass) – Sebastian Lanser (drum) – Joe Doblhofer (rhuthm guitar) – Alexander von Hagke (sax)

Benvenuto...

l'articolo continua...

sulle nostre pagine, Jan. Cominciamo subito con una domanda riguardo alla definizione jazz metal data alla musica dei Panzerballett: le tue composizioni sono frutto della costruzione e decostruzione costante di una struttura, intrecciata a dinamiche ora nervose, ora fluide, supportate da poliritmie intricate e groove infuocati. Ti ci ritrovi con questa descrizione?

Proprio così! Tutte le cose che hai menzionato costituiscono i pilastri della nostra musica.
Tutto ruota principalmente attorno ai ritmi e ai groove, al virtuosismo, all’esplorazione dei limiti e alla ricerca di quel che è possibile fare, e vorrei aggiungere una considerazione: tutto avviene con una buona dose di divertimento. Si tratta di due generi, jazz e metal, difficili da mescolare, ma dai quali otteniamo quella che definirei una emulsione, atta a far sembrare che siano sempre stati fatti l’uno per l’altro. Questo aspetto emerge in maniera chiara nella decostruzione delle cover che decidiamo di suonare: scegliamo intenzionalmente brani dei generi più disparati e ci prefiggiamo l’obiettivo di tradurli in un stile ibrido unico. Jazz metal è una definizione tanto semplice quanto efficace, anche se aggiungerei funky, progressive e in parte anche sperimentale.

Solitamente, come trovi l’ispirazione che ti porta a comporre un brano? Direi tramite fonti molto diverse, ad esempio: un concerto di una delle mie band preferite; la mia compagna [lei stessa musicista preparata e competente] che mi mostra di continuo musica interessante e mi propone idee; ma anche certi esercizi che preparo per i miei allievi di chitarra; certi contenuti bizzarri trovati sui social media e certe intuizioni casuali, magari sotto la doccia.

A proposito della tua attitudine a miscelare gli umori in arrivo da jazz, fusion, prog e metal, possiamo dire che, nell’ordine, Herbie Hancock, Tribal Tech, Meshuggah e Planet X sono fra le tue influenze?
Herbie Hancock direi più indirettamente, dato che non ho mai approfondito con costanza la sua opera; tuttavia, avendo studiato chitarra jazz più di 25 anni fa, Hancock è stato una presenza inevitabile. Le altre band che hai menzionato, invece, le ho studiate e ascoltate in maniera molto estensiva... sui Meshuggah ho persino scritto la mia tesi di laurea! Scott Henderson con i Tribal Tech è stato il mio idolo assoluto intorno al cambio del millennio, mentre i Planet X sono stati per me la prima testimonianza convincente di una fusione efficace tra metal, jazz e fusion. In generale, riguardo al matrimonio tra le sonorità heavy e le atmosfere jazzy, penso che Tribal Tech, Planet X ed anche Screaming Headless Torsos siano tra i pionieri più significativi e notevoli.

Tu sei il mastermind e il chitarrista lead dei Panzerballett, ma è palese che i tuoi compagni di viaggio siano determinanti per lo sviluppo e la resa dei brani: come riesci ad alimentare questo fondamentale spirito di corpo?
La band è passata da una formazione fissa composta da cinque musicisti, a una formazione variabile che vede me e altri quattro musicisti in arrivo da altre formazioni ma, in tutti i casi, lo spirito di squadra non è mai mancato. Devo aggiungere che tutti noi viviamo molto distanti gli uni dagli altri e incontrarci di persona, passare del tempo al di là di prove e concerti, è diventato difficile: tuttavia, come dicevo quello spirito resta presente.

Passando a "Übercode Œuvre", il nuovo album dei Panzerballett, vale tutto quel che abbiamo detto sinora, ma è bene aggiungere che, in quanto al drumming, hai coinvolto anche Virgil Donati, Marco Minnemann e Anika Niles: come è che hai pensato a questi giganti della batteria?}
La musica di Virgil [Donati], in particolare quella dei Planet X, è stata una delle mie influenze principali quando ho cominciato a fare i primi passi nel fondere jazz e metal. Per questo motivo, è per me un onore particolarmente grande avere sull'album
Alien Hip Hop, uno dei suoi brani più celebri, qui in una versione in cui ho contribuito in maniera significativa all’arrangiamento.Marco [Minnemann] ha vissuto a Monaco ma si è trasferito negli Stati Uniti poco prima che io cominciassi ad affacciarmi sulla scena, quindi, impressionato, ho seguito il suo percorso da lontano. Se fosse rimasto in Germania, probabilmente avremmo potuto collaborare molto prima e, oltretutto, era qualcosa che desideravo fare già con il precedente album, Planet Z. Anika [Niles] è entrata nel mio radar già al tempo dei suoi primi video, con quel suo groove, le suddivisioni e tutto il resto, poi ci siamo trovati ad insegnare nella stessa Accademia di Mannheim, e le nostre strade si sono incrociate.

Incluso nell’album vi è "Pick Up The Pieces", il celebre brano funk degli Average White Band del 1974, reinterpretato in chiave jazz-metal; dunque, carico di poliritmie intricate, spirito improvvisativo, riff metal brucianti e un drumming che non fa sconti a nessuno: come sei arrivato a sviluppare tutto questo insieme ai tuoi compagni di viaggio?}
Questo arrangiamento segue la scia della mia prima esperienza con la reinterpretazione di un brano funk. Già nel 2009 avevamo affrontato Some Skunk Funk sperimentando arrangiamenti con le suddivisioni in quartine, quintine e settimine di sedicesimi; poi via via abbiamo lavorato su altro materiale che si prestava ( Giant Steps
, Euroblast ), fino ad arrivare a Typewriter II [brano che i Panzerballett pubblicano nel 2015 sul disco Breaking Brain ]. Quindi abbiamo puntato l’attenzione su Pick Up The Pieces degli Average White Band che ci ha dato l’opportunità di approfondire la sperimentazione in tal senso.

Non è la prima volta che ti avventuri nella rivisitazione di brani di musica di ogni tipo ed i vari "Birdland" (Weather Report), "Smoke On The Water" (Deep Purple), o anche "The Simpson" (il tema della celebre colonna sonora) sono lì a confermarlo: da che cosa scatta il desiderio di imbarcarsi in avventure simili?
Ritengo che la sfida del far convivere generi musicali opposti possa essere affrontata al meglio prendendo a prestito brani famosi allo scopo di sviluppare texture uniche e riconoscibili al contempo. E in più, quando il processo riesce bene, sei soddisfatto e divertito.

"Ode To Joy" è l’unico episodio cantato del disco: ti va di dirci come è nato?}
Volentieri! In origine, l’idea di questo arrangiamento è nata nel corso della pandemia, quando i musicisti di tutto il Paese erano stati invitati a suonare
Ode To Joy [Inno alla Gioia] dai propri balconi o lasciando le finestre aperte come segno di solidarietà e gioia di vivere. [Il poeta/drammaturgo tedesco Friedrich Schiller compose l’ode nel 1785 inneggiando alla fratellanza degli uomini, ma è conosciuta nel mondo per essere stata impiegata da Ludwig van Beethoven come testo della parte corale del quarto e ultimo movimento della sua Nona Sinfonia, composta tra il 1822 e il 1824] All’epoca, il pianista viennese Michael Hornek aveva pubblicato la sua versione, caratterizzata da una ri-armonizzazione davvero raffinata che mi ha ispirato così tanto da spingermi a rielaborarla ulteriormente a modo mio, dapprincipio in versione strumentale. Solo successivamente mi è venuta l’idea di creare anche una versione cantata, perché credo che attraverso il canto le persone riescano a trovare un accesso più diretto e immediato alla musica.

Chiudiamo con la domanda di rito: a quali chitarre e, in generale, a quale equipment ti sei affidato per le registrazioni di "Übercode Œuvre"?
n quanto endorser Ibanez, utilizzo diverse chitarre a 7 e 8 corde del brand. Per questo album, in particolare, ho impiegato principalmente le seguenti Ibanez: RG5328 (8 corde), RG852MPB (8 corde), AZ24027 (7 corde), AZ427P2QM (7 corde), QX527PB (7 corde). Un caso speciale è rappresentato dal brano
The Devil's Staircase^ , che ho registrato nel corso di un anno in cinque parti da un minuto ciascuna, utilizzando ben sei chitarre: RG1127PBFX, RG852MPB, AZ2407F, AZ24027, AZ2204B, RG80F. Per quanto riguarda l’amplificazione, per gran parte degli interventi distorti ho utilizzato una testata Engl Powerball, mentre negli altri casi mi sono affidato a Quad Cortex e Axe-FX II.

Tra poco, l’8 maggio 2025, darete inizio al tour da Monaco, la vostra città, e via via attraverserete la Germania: nessuna speranza di vedervi in Italia?
Ci piacerebbe molto venire, ma purtroppo nei nostri oltre venti anni di attività abbiamo suonato in Italia soltanto tre volte e devo dire che i nostri concerti non hanno mai attirato grandi folle. Magari il Bel Paese accoglierà bene Übercode Œuvre !




Podcast

Album del mese

Giacomo Baldelli
Adesso Potete Applaudire
Arcana Edizioni

La musica contemporanea è spesso percepita come ostica, difficile. Altrettanto spesso, però, cela nell’ascoltatore il timore di allontanarsi dalla comfort-zone,...

Jeff Wagner
lways Moving: The Strange Multiverse of Voïvod
Radical Research

Jeff Wagner pubblica Always Moving: The Strange Multiverse of Voïvod ed è la narrazione appassionata e appassionante del viaggio sonoro della prog metal canadese attraverso...

Van Morrison
Remembering Now
Virgin Music Group Self

Chi si chiede cosa possa dire di nuovo un leone come Van Morrison alla soglia delle ottanta candeline e con ben 47 album in studio...