Slayer in concerto intervista a Kerry King

GuitarClub Maggio 1989
di Paolo Battigelli
01 maggio 1989

intervista

Slayer
Kerry King
Ho aggredito con voracità l'ultimo album degli Slayer "South Of Heaven". E' il momento d'oro dell'heavy metal. I Metallica come Brahma, gli Anthrax come Vishnu e gli Slayer cone Shiva: la sacra triade dell'induismo thrash. Tre gruppi che riassumono gli stilemi più classici, presentandoli nella veste migliore: quella dei 120 dB alla velocità della luce. Dei tre sono senz'altro questi ultimi a incarnare più compiutamente la quintessenza del movimento che va raccogliendo adepti sempre più numerosi ed esigenti a giudicare dal recente concerto tenuto da Tom Araya e soci nel capoluogo lombardo.

Ciò che maggiormente impressiona, è l'amore incondizionato, ai confini del fanatismo e dell'idolatria, degli Slayer-fans. Identificazione propria dell'H/M, ma qui portata a livelli davvero parossistici. Al punto che lo stesso Kerry King (axeman appunto degli Slayer) mi confesserà il suo stupore nel constatare come, qualsiasi cosa dica o faccia, i ragazzi si credono in dovere di imitarlo. Ma non è tanto dell'aspetto carismatico che vogliamo parlare, ciò che interessa è il lato musicale della band di "Reign In Blood" e, in particolare, dello strumento portante: la BC Rich di Kerry King.

Avvicinarlo non è cosa facile, ma alla fine lo abbiamo in pugno, Kerry è...

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un tipo simpatico e alla mano; contrariamente a quanto accade on stage, in privato discorre con tranquillità e proprietà di linguaggio. Tra i tanti argomenti inerenti il gruppo, quello prettamente chitarristico è il più sentito anche perché King è il classico musicista che lo strumento se lo porterebbe anche a letto, se non corresse il rischio di passare da emulo del grande Jimi. Scherzi a parte, Kerry è il classico self made guitarist: non una lezione che sia una, non un master ma orecchio ("ci vuole orecchio" come dice il buon Enzo) e tanta voglia di riuscire.

Giornate passate ascoltando dischi su dischi e ripetendo accordi e note alla nausea; ma i risultati si vedono, eccome. Dal primo album "Show No Mercy" (1983) al recente "South Of Heaven" attraverso gli acuti di "Hell Awaits" (1985) e del classicissimo "Reign Of Blood" (1986) l'ascesa degli Slayer è rapida e irrefrenabile. Sono trascorsi appena sei anni da quando, era la primavera del 1983, partecipano alla compilation "Metal Massacre Vol. III" con l'epico "Aggressive Perfector" ma tanto poco ci è voluto per cingere la corona del re dello speedy. Tra i fautori, naturalmente Kerry King il cui stile si è impreziosito e reso più sicuro dall'esperienza e da una tecnica che si è andata sempre più affinandosi.

Partiamo da lontano. Prima di formare gli Slayer facevi parte dei Quits, allora avevi 15-16 anni se non erro.
Una brevissima parentesi che non ha lasciato traccia. Mi ero deciso a metter insieme una band ma non avevo le idee chiare, né io né Tom (Araya). Non ricordo esattamente che chitarra usavo ma doveva essere un ennesimo riciclaggio, esattamente come la musica che facevamo. Prendevo qualche lezione, le uniche e neanche toccate dai crismi dell'ufficialità. ma ciò che veniva fuori era un solenne pasticcio.

Era il tempo delle cover, soprattutto Deep Purple.
Diciamo che i Purple erano uno dei nostri bersagli preferiti. Ho provato alla nausea il riff di "Highway Star", sino a che sono riuscito a rifarlo identico. Poi c'erano gli Iron Maiden e i Judas Priest, un ricco serbatoio a cui attingere senza problemi, solo l'imbarazzo della scelta.

Ma la situazione di copie carbone, di "second hand group" non doveva essere poi così gratificante se, d'un tratto, decideste di voltare pagina.
Il fatto è che tutti, proprio tutti, abbiamo iniziato copiando le cose migliori di chi ci ha preceduto. Ma, a maturazione avvenuta, si avverte il desiderio di cambiare, di proporre qualcosa di nuovo, di personale; altrimenti diventi un session man oppure un musicista di serie B, destinato all'anonimato eterno. Alla base del mio stile, che è poi la filosofia musicale del gruppo, c'è il voler colpire duro, il sorprendere, lo shoccare la gente con qualcosa che ti faccia urlare "Jesus, this is the real thing".

Decisa la linea da prendere, il centro dell'attenzione si è focalizzato su te e Tom. Anche a livello di musiche e testi.
Con Tom l'intesa è perfetta, su tutta la linea. Musicalmente la melodia parte quasi sempre dalla chitarra; poi, dopo aver assimilato il tempo e le varie scale, si aggiungono le parole: un procedimento abbastanza standard, che usiamo ormai dai tempi di "Show No Mercy". "South Of Heaven", ad esempio, rispecchia molte situazioni già viste in "Hell Awaits" e "Reign In Blood" ma le analizza, le affronta da una diversa angolazione sonora. Gli autori, cioè noi, non cambiamo e il genere rimane quello; tutto sta nel riuscire a dare un volto nuovo e luccicante a echi del passato. Ed è qui la fase più interessante, quella costruttiva.

Chitarristicamente c'è però una gran diversità tra " Reign In Blood" e "South Of Heaven". Il tuo stile si è fatto più corposo, maggiormente ricercato e pulito.
Dedico, potendo naturalmente, molto più tempo allo studio che non in passato e non mi accontento di qualcosa che "suoni bene", ora deve essere perfetto. Non lascio mai la mia BC Rich, ormai una mia appendice. "South Of Heaven" ha rappresentato il mezzo per uscire dal cliché trash che ci eravamo cuciti addosso; un guardare oltre tentanto soluzioni nuove. A cose fatte, credo di esserci riuscito e posso anticiparti che il prossimo album sarà una giusta via di mezzo tra gli ultimi due.

Come tutti avrai avuto delle "cotte" giovanili.
Inizierei dai miei preferiti attualmente. Non si tratta necessariamente dei più bravi, dei più veloci e tecnici dal momento che credo sia o importantissimi il carisma, la presenza e il ruolo che essi rivestono nell'ambito del gruppo; detto ciò mi piace molto KK Downing dei Judas Priest e gli axeman dei Maiden perché riescono ad infondere una vitalità, una presenza scenica abbastanza rare nel mondo dell'HM. Riferendomi invece ai classici, senza dubbio Eddie Van Halen: i primi due album sono assolutamente micidiali. Oggi, purtroppo, sembra si sia orientato verso l'elettronica, i synth e i computer perdendo di vista quella che è la vera anima dello strumento.

Parlando di tecnologia applicata alla musica, hai mai usato la chitarra synth, la famosa SynthAxe?
No, mai. Intendiamoci, non è che condanni o rifiuti a priori sintetizzatori e computer; li capisco, e potrei amche prendere in considerazionemun loro impiego se alle spalle avessi una dozzina di album. E' la ricerca di qualcosa di nuovo che potrebbe spingermi in questa direzione, una volta dissodato il tuo terreno sino in fondo è accettabile che tu possa tentare atre vie. Ma non ora, non per gli Slayer formato 1989.

Per la colonna sonora del film "Less Than Zero" (1987) avete inciso una versione stravolta dell'inno heavy degli Iron Butterfly "In-A-Gadda-Da-Vida".
Decisione e scelta discutibili, anche se spiritose. Se fosse dipeso da me, comunque, le cose sarebbero andate diversamente. Figurati che giò l'originale non l'ho mai sopportato: è una delle vette della mia del rock. Non lo suoneremo mai dal vivo, puoi starne certo. Credo però che allora, al tempo della sua uscita, sia stato un pezzo veramente forte percné conteneva dei solo incredibili (oggi inconcepibili, si affretta a sottolineare a mezza voce) è un riff che ha fatto storia.

Quali reputi siano le doti necessarie per diventare un buon chitarrista e cosa ritieni più importante, il feeling o la tecnica?
La cosa essenziale è l'affiatamento, l'amalgama con il resto della band. Prendi me e Jeff (Hannemann, l'altro chitarrista degli Slayer), per esempio. Nessuno dei due è un mago, un caposcuola, un genio della sei corde, tuttavia ci capiamo al volo e questo determina un potenziale incredibile, che altre band non hanno pur possedendo, magari, dei chitarristi migliori di noi. Per quanto riguarda feeling e tecnica, sono entrambe necessarie ma nessuna da sola è sufficiente. Diciamo al 50%. La prova di quanto ho appena detto viene da Yngwie Malmsteen, un mostro di bravura quanto si vuole ma idolo di una ristretta cerchia di devoti: è "scoppiato" come fenomeno. Per Steve Vai è diverso. Nella band di David Lee Roth ha trovato una giusta dimensione che gli permette di esprimersi al meglio nella doppia veste di solista e parte del gruppo: l'ideale per un talento naturale come lui.

Stasera, il vostro concerto è stato perfetto. Sei d'accordo che gli Slayer sono una live band, più che una studio band?
Pensa che è dallo scorso agosto che maciniamo chilometri e concerti: ci mancherebbe che qualcosa ancora non funzionasse... Effettivamente, la dimensione live è la più congeniale al nostro modo di concepire la musica, non vorrei apparire banale, ma il momento dello show rimane il più bello e gratificante.

Che musica ascolti solitamente?
Se dai un'occhiata nella mia borsa troverai cassette dei Judas Priest, degli AC/DC (in pratica l'intera discografia) e alcune cose di Ozzy Osbourne. Mi rilassa la musica durante i lunghi spostamenti, pullman, treno o macchina che sia. E poi è un'ottima fonte di idee e validi suggerimenti.

Il tuo album, parlo degli Slayer, che reputi migliore?
Sicuramente "Reign In Blood", per la forza distruttiva che contiene e l'energia profusa. Un gradino superiore allo stesso "South Of Heaven", anche se il prossimo non avrà rivali. Se invece dovessi scegliere due album a caso, da portare sulla classica isola deserta, opterei per un greatest hits dei Priest e, forse, "Sabotage" dei Black Sabbath.

Torniamo alla tua chitarra. Come mai proprio BC Rich?
E' stato il classico colpo di fulmine. Trovarsi e amarsi, ecco tutto. Devi sapere che ne ho provate molte ma sempre, al momento di prendere una decisione, c'era qualcosa che non funzionava: non tanto nelle meccaniche quanto nel suono e nel feeling che si viene a creare tra strumento e musicista. Alla fine mi hanno consigliato la BC Rich e tutto è filato liscio; naturalmente ho apportato qualche modifica, suggerimenti che i tecnici della casa hanno messo in pratica, ma sostanzialmente il corpo e il resto sono rimasti quelli originali. Non uso Rockman né Midi system e anche come special effects mi limito molto. Collego la sei corde al Marshall e smanetto al massimo: nulla di particolarmente complicato. Nel nostro genere non occorrono accorgimenti speciali, trucchi ed effetti: basta il sudore e la grinta. Ah, uso il delay, ma nulla più.

di Paolo Battigelli

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