intervista a Paul Gilbert "I CAN DESTROY"

di Maurizio De Paola
01 giugno 2016

intervista

Paul Gilbert
I Can Destroy
18esimo album da solista, I Can Destroy è un variegato mix di 13 brani in cui fuoriesce tutta la valentia di Mr. Gilbert e la sua grande passione per la seicorde ed il rock in ogni sua declinazione.
Distruggere per conoscere l’intima essenza di qualcosa
è la visione del celebre chitarrista statunitense… approfondiamo quindi con lui il lavoro del “distruttore”!

A Paul Gilbert piacerebbe essere uno degli eroi dei fumetti che ama tanto e a cui ha dedicato anche un album dei Racer X (Superheroes, 2001)… magari uno dei quei villain che minacciano in ogni puntata di distruggere il mondo, salvo poi venire fermati dall’eroe di turno!

I Can Destroy – uscito il 27 maggio 2016 – è l’ultima fatica del prolifico chitarrista americano, l’ennesima dimostrazione della sua incredibile poliedricità e capacità di maneggiare i sottogeneri e le sfumature del rock e del power pop radiofonico con una fantasia straordinaria. Un approccio libero da condizionamenti e che si svincola dai contesti appannaggio di Mr. Big e Racer X, le due band in cui Paul Gilbert ha messo il suo marcato solco. Un approccio che porta ogni suo album da solista a mostrare...

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sempre qualcosa in più e di diverso: esattamente come testimonia questa sua ultima release…

Partiamo dal titolo, Paul: perché I Can Destroy? Distruggere cosa?
L’ispirazione del titolo mi è arrivata da mio figlio piccolo, guardandolo mentre distrugge gioiosamente ogni cosa che gli capiti a tiro, tutti i giocattoli che riceve, e anche le loro confezioni! Dopo un po’di tempo ho capito che non lo fa perché è arrabbiato, ma perché è un modo per scoprire il mondo, capire come sono fatte le cose.

Per lui è tutto nuovo, tutto una sorpresa. Cos’è una tazza? Cosa c’è dentro? Come è fatta? Distruggiamola e così lo scopriremo! Per certi versi è esattamente quello che fanno gli scienziati del CERN di Ginevra con il super acceleratore di particelle Large Hadron Collider: per scoprire cosa c’è dentro gli atomi e come funziona, li sparano con una forza impressionante l’uno contro l’altro fino a farli ‘rompere’ e vedere cosa succede, cosa ne esce fuori. Ovviamente, loro seguono processi molto più sofisticati di mio figlio, ma il principio è identico: distruggere per conoscere l’essenza intima delle cose.

Il disco pare essere attraversato da un forte spirito power rock tipico degli anni Settanta/Ottanta. Sei d’accordo con questa lettura?
In parte sì, anche perché non ascolto molta musica moderna e così ogni cosa che faccio finisce, inevitabilmente, per avere un sapore vintage. Di fatto, continuo ad ascoltare musica vecchia e poi ancora più vecchia, cercando le radici di ogni cosa, l’inizio di un certo movimento musicale o di un tipo di sound. Eddie Van Halen è stato uno dei miei eroi di gioventù, ma lui chi aveva ascoltato? Da chi è stato influenzato? Le sue idee come sono nate e da chi aveva preso ispirazione? Questa è la cosa più interessante per me e che approfondisco nelle mie ricerche musicali.

E’ normale quindi che i miei brani ne vengano influenzati. Della maggior parte dei brani di questo album sono nati prima i testi, proprio durante l’ultimo clinic tour da voi, in Italia. Ho passato la maggior parte del tempo guidando il mio furgone su e giù per il Paese e ho avuto molto tempo per pensare e poi scrivere le bozze dei testi, riflessioni, pensieri, spunti che mi venivano in mente su persone che incontravo e situazioni che vivevo. Una volta tornato qui a casa, mi sono trovato con parecchio materiale su cui lavorare, costruire la musica intorno a quei piccoli racconti…

Il tuo stile vocale si è incredibilmente evoluto nel corso degli anni e oggi ha raggiunto un livello di sofisticazione paragonabile a quello di un rock crooner à-la Dave Lee Roth. Quanto del tuo tempo dedichi oggi all’esercizio della voce?
Ti ringrazio, anche perché ho sempre adorato David Lee Roth! Mi sforzo di migliorare il mio cantato con costanza, soprattutto allo scopo di renderlo più espressivo. Non riesco né riuscirò mai a raggiungere le note altissime nello stile di Ronnie James Dio o di Bruce Dickinson, ma cerco di rendere personale la voce e di utilizzarla nel modo migliore possibile nei brani che mi trovo a cantare.

Restando sull’argomento David Lee Roth, il tuo brano I Am No The One (Who Wants Be With You) ha un groove à-la Shy Boy del 1986. Una coincidenza?
Hmmm... non sono d’accordo! Per quello che riguarda il groove, il pezzo in realtà è costruito attorno a un riff che scrissi addirittura quando ero un adolescente… ma se dovessi trovarci una influenza esterna, piuttosto direiBeating Around The Bush degli AC/DC o Motor City Madhouse di Ted Nugent.

Sei un grande ammiratore di Ted Nugent e nel disco hai inserito la cover della sua Great White Buffalo come bonus track. Perché questa scelta?
La gente pensa che Ted Nugent sia pazzo, ma in realtà io lo trovo semplicemente ottimista ed esuberante. Solo uno come lui poteva scrivere song come Great White Buffalo… con un incredibile riff di chitarra, super energico e travolgente. Tra l’altro, io continuo a pensare che lui sia ancora oggi un chitarrista migliore di me e che, dunque, ne devo fare di strada per arrivare al suo livello!

Adventure And Trouble presenta degli echi beatlesiani...
Naturalmente adoro i Beatles e la cosa si sente nelle mie canzoni… Tuttavia, in questo caso, tra le influenze ci vedo più tra una combinazione di Janis Joplin, Nina Simone e Ray Charles.

In scaletta c’è un brano che si intitola I Will Remembered. Come pensi verrai ricordato in futuro?
Difficile da dirsi. Ad oggi ho realizzato più di 4000 video didattici per la mia Online Rock Guitar School [una piattaforma didattica online creata e gestita dallo stesso Gilbert] e continuo a farne. Probabilmente, quindi, sarò ricordato come un insegnante… In tutti i casi, il mio unico obiettivo è quello di continuare a comporre, cantare e suonare meglio di quanto abbia fatto il giorno prima. Sono orgoglioso di quello che ho fatto quando avevo 20 anni, certo, ma preferisco evolvermi avventurandomi in direzioni sconosciute piuttosto che continuare a suonare Scarified per il resto della mia vita!

Sulla copertina c’è una sorta di radiografia a raggi X di te e della tua chitarra. Che significato ha?
Quando ho pensato al titolo del disco, la prima idea che mi è venuta in mente è stata Electric Brontosaurus. La mia Ibanez Fireman mi ha sempre ricordato la figura di un brontosauro e il fatto di essere elettrica generava in me quella spontanea associazione di idee. Così feci una ricerca su Google digitando queste parole e il primo risultato che ne venne fuori legato all’idea del “brontosauro elettrico” era un disegno di un artista di nome Barney Ibbotson. Mi ha così colpito da indurmi a contattarlo. Da lì è nata la nostra collaborazione e, dunque, il disegno che ha realizzato per me quando gli ho dato il titolo definitivo del disco, ovvero I Can Destroy.

Naturalmente i tuoi fan da ogni tuo nuovo disco si aspettano una buona dose di shredding spalmata nei brani, mentre tu invece tendi a concentrarti sulla costruzione ritmica e melodica. Come riesci a bilanciare le due cose?
Mi piacciono entrambi gli approcci, ma è necessario ricercare un equilibrio. Sono cresciuto con la musica di Beatles ed Elton John; poi mi sono immerso in quella di Led Zeppelin, Van Halen e Rush, pur senza smettere di ascoltare Allan Holdsworth e i Ramones! Ora mi interesso del jazz della tradizione, del blues e anche del country music.

So bene che le mie mani sono fatte per andare veloce sulla chitarra, che da me la gente si aspetta di vedere una macchina dello shredding e che a me piace accontentarli… Ma è necessario ricordarsi che questo modo di suonare può diventare noioso in fretta se estrinsecato da una buona melodia e una buona struttura armonica. E’ una melodia a fare il brano, a dargli forza e, in definitiva, a farlo ricordare nel tempo. Senza tutto questo, si tratta di un buon assolo sospeso nel vuoto.

Passando alla tua chitarra, quali differenze ci sono tra le Ibanez PGM Signature che utilizzi sul palco e quelle vendute nei negozi?
L’abbassamento del pickup centrale quanto più possibile. In talune chitarre che ho avuto, un piccolo pezzo di gomma lo rialzava, ma a un certo punto l’ho tolto definitamente e ho avvitato il pickup più in basso che potevo. Si tratta di una personalizzazione per me necessaria visto che ho una pennata molto profonda e che deve esserci dello spazio al di sotto delle corde, senza andare a toccare per sbaglio il pickup. È un adattamento molto semplice e se lo farete a casa, avrete poi una chitarra esattamente uguale alla mia! [ride]

Rivolgendo uno sguardo al passato riferito alla tua carriera da solista, esiste una sorta di progressione stilistica tra i tuoi album? Quanto c’è di stabilito a priori e quanto frutto dell’ ispirazione del momento?
Quello che faccio è scrivere musica, non trattati di matematica e, quindi, non c’è alcuna logica nella successione dei miei album, né sono legati tra loro in qualche modo. Semplicemente, provo a suonare quel che ritengo più stimolante per me in un dato momento e le mie scelte stilistiche cambiano rapidamente perché sono una persona piena di contrasti interiori. Anzi, li coltivo! Per esempio, se decido di fare un album strumentale puoi stare sicuro che un anno dopo mi sarò stancato di ascoltarlo. Figuriamoci di suonarlo! Le mie scelte in fatto di musica hanno la stessa logica di quello che scelgo di mangiare ogni volta a cena… Mi ritengo veramente fortunato che, dopo tutti questi anni, il pubblico sia ancora con me, a seguire le mie bizzarrie e le mie inversioni di rotta. In tutti i casi, io cerco di dare sempre il massimo della qualità e dell’impegno e, sino ad ora, questa scelta ha pagato!

Tracklist


1. Everybody Use Your Goddamn Turn Signal
2. I Can Destroy
3. Knocking On a Locked Door
4. One Woman Too Many
5. Woman Stop
6. Gonna Make You Love Me
7. I Am Not The One (Who Wants To Be With You) 
8. Blues Just Saving My Life
9. Make It (If We Try)
10. Love We Had
11. I Will Be Remembered
12. Adventure and Trouble
13. Great White Buffalo (bonus track)

Maurizio De Paola

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