Gabriele Dodero

di Umberto Poli
06 gennaio 2018

recensione

Gabriele Dodero
Stories For A Friend
Autoproduzione
Ricordate “A proposito di Davis” (2013)? Il pluripremiato film dei fratelli Coen ispirato alla vita e alla figura del songwriter americano Dave Van Ronk? Il Greenwich Village, gli anni Sessanta, le strade di New York, i vagabondaggi, le avventure, gli amori, le piccole e grandi tragedie quotidiane… Tutto questo concentrato di immagini e suggestioni, ritorna ascoltando Stories For A Friend, disco d’esordio del chitarrista e cantante Gabriele Dodero (classe 1978) originario di Padova.

Artista affascinante, personaggio singolare sin dal look caratterizzato dall’inseparabile cappello, Dodero sviluppa nel tempo un amore incondizionato verso un certo tipo di ambienti sonori che partono dal blues per abbracciare gradualmente un più ampio spettro di influenze, artisti, dischi, generi musicali. Questa propensione all’ascolto, unita ad un’innata vena interpretativa, ne hanno plasmato la crescita, la tecnica strumentale e la (particolarissima) voce.
In questa manciata di canzoni - 13, tutte cover - è infatti proprio l’elemento vocale ad emergere come tassello a sé stante, quasi separato dai magici intarsi costruiti ad hoc dalle dita e dalle sei corde del protagonista. Tim e Jeff Buckley, Donovan, Tim Rose, Bob Dylan, Tim Hardin… sono soltanto alcuni dei nomi che fanno capolino nella mente quando Gabriele inizia a cantare, avvolgendo l’ascoltatore...

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con il suo timbro dolce, delicato e al tempo stesso velato di uno struggente, insondabile, alone di malinconia e fantasmi. Spiriti vicini a quelli del sabato sera di tomwaitsiana memoria, senza volto né nome, eppure ben presenti di canzone in canzone e che aleggiano, si nascondono, pretendono attenzione, ti si aggrappano al collo dall’iniziale Stagger Lee fino agli ultimi secondi della conclusiva I Shall Not Be Moved, cui spetta il compito di chiudere le danze. A contenerli e a orchestrarli è la chitarra acustica del protagonista, che suona e arrangia in maniera magistrale, mostrando un fingerstyle deciso ma morbido, in linea con le tracce e con la dolente atmosfera che permea l’album.

Se Hard Time Killing Floor (Skip James), The Cape (Guy Clark), Saturday Night Shuffle (Merle Travis) e il traditional I Want Jesus colpiscono all’istante, è però Feeling Good (scritto dalla coppia Anthony Newley-Leslie Bricusse e portata al successo da Nina Simone) ad insinuarsi nella pancia in modo furtivo e permanente; così come l’intramontabile Going Down The Road Feelin’ Bad che, pur essendo stata eseguita negli anni da innumerevoli performer (da Woody Guthrie ai Grateful Dead a Delaney & Bonnie), Gabriele riesce a rimodellare attraverso una versione personale e molto intima.

Il disco è dedicato ai sognatori e a chi non si arrende mai. Una ragione in più per fidarsi e affidarsi a Gabriele Dodero, al suo cappello, alla sua chitarra, alla sua voce e alle sue canzoni folk, blues, spiritual e country. Fantasmi e cantastorie di questa levatura non si incontrano tutti i giorni.

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