CHRIS DEGARMO The Silent fo Lucidity

di Eugenio Palermo
02 gennaio 2024
Negli anni Ottanta i Queensrÿche  hanno rappresentato la quintessenza dell’heavy metal per poi oltrepassarlo con "Operation: Mindcrime", kolossal di una discografia spiazzante, in bilico fra audacia artistica ed opportunismo commerciale, ma sempre focalizzata sulle melodie svettanti di Chris DeGarmo, l’uomo delle emozioni.

Incastonata uggiosa e romita lassù, nel nord-ovest degli Stati Uniti, proiettata verso il Pacifico e il futuro che guarda dal suo Puget Sound e le sue Big-Tech, Seattle è per antonomasia città sacra del rock, ombelico delle rivoluzioni mondiali sulle sei corde di Jimi Hendrix e Kurt Cobain. Ma spesso si trascura che fra tali due epopee, la Jet-City (ribattezzata così per essere stata la città-sede del colosso Boeing) ha visto anche cinque suoi teenager degli anni Ottanta diventare una megaband da più di 20 milioni di dischi venduti, e fulcro imprescindibile dell’heavy metal degli anni d’oro: i Queensr ÿ che.

Partiti dal ribollente calderone underground dell’U.S. Power americano d’inizio Ottanta, i Queensr ÿ che sono la band che ha portato il metal nelle zone alte delle chart di mezzo mondo con il suo stile ricercato, le sue melodie enfatiche e i suoi testi profondi, emancipandolo dalla stereotipata e caciarona celebrazione della triade sex&drugs&rnr verso una...

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credibilità artistica inedita per il genere.

E, tutto questo grazie alla visionaria audacia del loro Operation: Mindcrime , il più grande concept album della storia dell’heavy metal, un vero kolossal in musica, tale da porre l’importanza dei Queensr ÿ che ben oltre i confini dell’heavy metal stesso. Il capitolo più osannato e rappresentativo di una discografia (nei suoi primi dieci anni) eccezionale che ha attraversato e superato il power, il glam, il gothic, l’hard rock, l’AOR ma mantenendo sempre un baricentro progressive oltre che una spiccata e drammatica musicalità sempre più radiofonica.

Una band ambiziosa i Queensr ÿ che, perfezionista ed innovativa, composta da professionisti impeccabili, musicisti con i controfiocchi tanto eterogenei quanto miracolosamente amalgamati che la relativa somma risulti superiore al singolo valore di ciascuno: un cantante stellare capace di fare qualunque cosa con la voce (Geoff Tate), indubbiamente degno di stare fra R. J. Dio, Rob Halford e Bruce Dickinson ma che è (ed ha) anche molto altro in più; una sezione ritmica precisa e monumentale come il Big Ben (Scott Rockenfield ed Eddie Jackson) ed una coppia di chitarristi sofisticati, distinti ma complementari come gemelli eterozigoti (Michael Wilton e Chris DeGarmo).

Ed è proprio DeGarmo l’anima silenziosa e inquieta, il songwriter principale (oltre che la mente che ne gestisce la produzione e il business), di una band eclatante, per decenni copiata ma mai imitata. Se l’istrionico Tate è la sirena che ruba l’occhio (e l’orecchio), DeGarmo è la chiglia che ha permesso alla nave Queensr ÿ che di prendere sempre il mare aperto senza paura di naufragare, come invece accadrà nel secondo tempo della loro carriera, quando raggiunto l’apice Chris mollerà la sua celebrata ciurma, preferendo l’anonimato della vita familiare e di pilota di linee aeree commerciali, lasciando che naufragasse ingloriosamente fra flop, split, il licenziamento nel backstage di Tate con annessa scazzottata e le tristissime battaglie legali fra il cantante e i suoi ex sodali per l’uso del monicker.
 

CHRIS DEGARMO – L’ALCHIMISTA
Uomo schivo e riservato quanto musicista mai appariscente e mai banale, Chris DeGarmo è la chiave del suono melodrammatico dei Queensr ÿ che, la sintesi raffinata e melodica fra l’anima art-rock di Geoff Tate e quella metallara del resto della band, fra la concettualità del primo e i muscoli dei secondi, perennemente in attrito. Ma non solo.
DeGarmo è soprattutto un innovatore che riscrive – insieme con il suo fenomenale ex-compagno di scuola Michael Wilton – la grammatica della doppia chitarra nell’heavy metal, andando oltre il testosterone dei raddoppi e dei duelli chitarristici dei vari maestri Wishbone Ash, Judas Priest, Thin Lizzy, Iron Maiden.

Quella di DeGarmo e Wilton è un’interazione osmotica di stili e suoni differenti (più aggressivo, tagliente e acuto Wilton; più melodico, rarefatto e profondo DeGarmo), contemporaneamente cerebrale (Wilton) quanto emozionale (DeGarmo). Una osmosi caratterizzata dall’uso di accordi inversi per crearne uno complesso (dove DeGarmo normalmente si concentra sui registri più bassi e Wilton sui più alti), dalle celeberrime armonie parallele che si stratificano in un enorme e caleidoscopico sound, fitto e suggestivo come le trame di un arazzo. Per non parlare dell’iconica pulizia dei loro accordi, il marchio di fabbrica dei Queensr ÿ che, frutto anche di quel caratteristico lavoro sulle corde aperte, di quel premere una nota e suonare la corda aperta equivalente per ottenere un chorus naturale e ricco.
Un approccio fuori dagli schemi blues, dal sapore modale, che distingue i Queensr ÿ che dalle altre band di heavy/rock del tempo.

DeGarmo è infatti chitarrista difficilmente classificabile, originalissimo e quasi anomalo, lontano dalle strutture pentatoniche (pur amando Gilmour) e più portato agli arcani Frigio o Eolio (negli assoli) come all’ambiguità pop di accordi Sus4 o Sus2 (nelle ritmiche) di un Alex Lifeson o di un Andy Summers; elementi inediti per un gruppo metal, per di più suonati con progressioni inusuali, spesso atonali e dissonanti (soprattutto agli esordi).

È un alchimista DeGarmo, attratto dalla psichedelia pop di Sgt Peppers… (il primo disco che riceve dai suoi nonni) come da quella dark di The Wall, dall’elettricità operistica di Tommy, dal folk acido dei Buffalo Springfield, dai Rush new wave dei primi Ottanta, fino agli echi umbratili dei primi Cure e U2. Certamente non il classico trituratore heavy metal anni Ottanta, sicuramente più ritmico che solista ma non un riff-master, come è invece il più veloce e tecnico Michael [Wilton], sodale privo del fraseggio espressivo di Chris ma dall’alternate picking chirurgico; eppure, DeGarmo è uno dei più influenti chitarristi rock della sua generazione, come sostiene John Petrucci.
Perché è proprio tutto il pacchetto-DeGarmo che affascina, non un singolo elemento: compositore arioso, solista esotico, ritmico eccentrico, arrangiatore dagli arpeggi lunatici e cristallini… tutto sempre all’insegna del less-is-more più elegante e insolito. Ma sono soprattutto il suo approccio alla scrittura, all’orchestrazione, agli arrangiamenti, all’armonia, alle dinamiche (che tanto ricordano la musica classica moderna) ad aver messo sulla mappa un nuovo approccio.

La sua storia inizia a Wenatchee, cittadina di trentamila anime a 230 km a est di Seattle, che deve il nome ai locali nativi americani, immersa nell’omonima valle delimitata dalle falde delle Cascade Range e dal fiume Columbia. Christopher Lee DeGarmo nasce qui il 14 giugno 1963, in una famiglia di musicisti e, dopo l’abbandono del padre, si trasferisce a Bellevue (“bella vista” in francese) sul lago Washington, all’epoca ameno sobborgo di Seattle di diecimila abitanti e oggi pulsante cittadina dieci volte più popolosa, dove la madre riesce a barcamenarsi con sacrifici enormi. Una semplice chitarra giocattolo accende la fantasia del piccolo Chris quando ha quattro anni, mentre a tredici anni un amico della nonna materna gli fornirà i rudimenti necessari. Di base però Chris è un autodidatta che cresce suonando come un forsennato sui dischi del fratello maggiore: gli amati Beatles, Pink Floyd, Led Zeppelin (House Of The Holy è il primo disco con cui si esercita), condividendo la stessa passione con il suo compagno di banco, Scott Rockenfield.
Alle Interlake High School Chris conosce l’allora star del baseball e bassista Michael Wilton, cresciuto con Al DiMeola e John McLaughlin e poi passato a Page e Schenker e alla sei corde, guadagnandosi dal suo maestro di chitarra il soprannome “Whip” per come frusta la tastiera del suo primo ferro, una Les Paul tarocca. 

Wilton coinvolge DeGarmo nello studio della chitarra, nella N.W.O.B.H.M., negli UFO, nei Van Halen e nella loro prima band, i Joker. È il 1979.
Al tempo Seattle è solo la città delle rockers multi-platino Heart, ma con un underground ribollente di band che sgomitano per ottenere una serata nei vari locali e che si sfidano nelle Battles Of The Bands nel mitico Lake Hills Roller Rink. In una di queste si schianterà come un meteorite il cantante dei raffinati Tyrant, uno sconosciuto yankee, ex-giocatore di football, nato a Stoccarda: Geoff Tate. Chris, invece, è sempre senza un dollaro in tasca, si arrangia con un piccolo MusicMan, cercando qualcuno che gli presti di volta in volta della strumentazione decente. Per questo motivo viene sbattuto fuori dai Joker e rimpiazzato da chi può portarsi in dote uno stack Marshall.

L’anno successivo però, i suoi amici Rockenfield e Wilton (quest’ultimo è passato al college e studia teoria musicale, improvvisazione jazz, musica classica e…gamelan!) lo tirano dentro i loro Cross+Fire, cazzutissima cover band di Sabbath, Judas e Maiden, diventati nel 1981 The Mob con l’ingresso di un altro compagno di scuola di Rockenfield, Eddie Jackson.
Manca un cantante. Ed è all’Easy Street Records, il leggendario negozio di dischi rock e ritrovo della gioventù metallara di Seattle, che i quattro incrociano quel torello che aveva ammutolito la platea delle Battles Of The Bands con una stentorea versione di Man On The Silver Rain dei Rainbow. Geoff [Tate] ha studiato pianoforte, suona la tromba, ed è diventato cantante per caso, quando un amico bassista alla ricerca di un cantante lo sente canticchiare sul divano 2112 dei Rush.

Tate canta e suona con chiunque a Seattle ma non è interessato al metal. Più vicino a Jon Anderson che a Rob Halford, più coinvolto nel prog affabulatorio dei Genesis e in quello sci-fi dei Rush, nella lisergica alienazione dei Pink Floyd, nelle avanguardie di Peter Gabriel e David Bowie, nei ritmi new wave di Depeche Mode e U2, nell’opera italiana, nei Carmina Burana Poem, accetta di accompagnarsi a quei quattro in denim&leather dall’agenda fitta di show. Poi, esaurito il calendario, torna alla sua prog band, i Babylon.
A Seattle se non fai cover non suoni ma Chris DeGarmo è stufo, vuole fare la sua musica, e così mette fine alle serate e prende le redini del songwriting.

Nel seminterrato dei genitori di Rockenfield dove la band prova, nasce un pugno di canzoni potentissime. Manca però un nome alla band, visto che si scopre che il monicker The Mob è già occupato. Su due piedi, Chris lo ricava storpiando il titolo della canzone più forte del lotto, il futuro classicone del nascente power americano Queen Of The Reich . Ecco dunque i Queensr ÿ che, con l’umlaut alla Motörhead   e la y inserita per allontanare sospetti di neonazismo.

Geoff Tate, nel frattempo migrato nei prog metal Myth, viene coinvolto di nuovo dai Queensr ÿ che e registra con loro un demotape. Assolto il compito, torna nei Myth ma il nastro gira freneticamente a Seattle e colpisce talmente i titolari della Easy Street Records (i coniugi Kim e Dana Harris), che lo spediscono ad un amico inglese, giornalista nientemeno che della Bibbia del rock Kerrang, il quale prima salta dalla sedia e poi ne scrive una stratosferica recensione. I Queensr ÿ che diventano così un nome caldo anche in Europa, gli Harris ne assumono il management e mettono appositamente su persino una piccola label, la 206 Records. Tate capisce che quello è il treno giusto che cercava, molla i Myth e diventa il frontman ufficiale dei Queensr ÿ che. È la lineup storica che durerà fino al 1997. [Geoff Tate, Chris DeGarmo, Michael Wilton, Eddie Jackson, Scott Rockenfield]
Trovato l’assetto e racimolati i dollari necessari svolgendo qualsiasi lavoro (Chris è magazziniere all’ospedale, mentre Wilton maneggia resistori in un’azienda elettronica), i cinque ragazzini di Bellevue entrano nei Triad Studios della vicina Redmond per registrare (in cinque sere, quando la tariffa è più bassa) l’omonimo EP che esce a fine 1982. Sono quattro proiettili d’argento in puro stile Judas Priest che fanno centro all’istante.

Il brusio intorno ai Queensr ÿ che – e alla fenomenale voce di Geoff Tate (che convince DeGarmo e Eddie Jackson a prendere lezioni di canto dal suo maestro David Kyle per averne il sostegno nei live e nelle armonizzazioni in studio) – cresce fino a far vendere ben 60000 copie e riempire i loro live poderosi. Ad uno di questi live a supporto degli hard-rockers Zebra, Kim Harris invita una manager della EMI. È il giugno del 1983. Il report è così entusiasta che la EMI non ci pensa su due volte e mette quei teenager sotto contratto per ben quindici anni e sette album, fra cui la ristampa dell’EP che esce ad agosto (con l’aggiunta di un quinto brano). È un momento storico irripetibile e i Queensr ÿ che sono fra i battistrada.
Negli USA, il successo clamoroso dei primi due album di Ozzy con Randy Rhoads, di Number Of The Beast dei Maiden, oltre che il trionfale World Vengeance Tour dei Judas Priest, hanno irrimediabilmente piantato il seme della N.W.O.B.H.M. Ora anche i teenager americani sono affamati di metal, le etichette discografiche spuntano fuori come funghi e le major scandagliano l’underground alla ricerca dei nuovi Van Halen.

Nel 1980 avevano debuttato i Cirith Ungol e i Manilla Road, l’anno dopo Manowar e Virgin Steele, tutti trionfanti di epicità bellica, mentre a gennaio del 1983 era toccato ai più gotici Savatage, con il prog metal sontuoso di Fates Warning e Crimson Glory e l’assalto belluino di Metal Church (anche loro di Seattle), Jag Panzer e Armored Saint pronti ad emergere a breve dall’underground. È questo l’ignoratissimo U.S. Power, che mescola l’acciaio machista dei Judas con l’epica e la prog fantasy dei Rainbow.

Una distinzione netta tra power/epic/speed/thrash al tempo non sussiste: il termine power metal indica tutto ciò che si distacca dall’hard rock seventies americano di Blue Cheer, Mountain, Grand Funk Rail Road, Sir Lord Baltimore, tramite l’estremizzazione di tutti i suoi tradizionali stilemi (riff tritaossa e melodie acute, velocità tiratissime e pulizia esecutiva, liriche fantasy e inni da battaglia). Solo dalla metà degli anni Ottanta la scena si suddividerà in modo più netto, per effetto dell’avvento del thrash californiano con il terremoto Metallica.


QUEENSRŸCHE
L’EP si fa notare, Kerrang battezza Queen Of The Reich come il miglior singolo metal di sempre e i Queensr ÿ che come il futuro dell’heavy metal. I cinque finiscono ad aprire per Dio, Twisted Sister e Quiet Riot.
L’anno dopo la EMI fa le cose in grande: i Queensr ÿ che volano addirittura a Londra per lavorare al primo album (The Warning ) con James Guthrie (allora già al lavoro su The Wall dei Pink Floyd!) ma si pasticcia molto; il budget finisce per sforare di 300.000 dollari e la EMI toglie alla band la direzione dell’album imponendo un mixaggio più commerciale ma col risultato di affondarlo. Tant’è che, ancora oggi, la band lo detesta.

Peccato, perché The Warning è un disco zeppo di spunti notevoli della premiata ditta DeGarmo-Wilton. Con la progressione di accordi inusuale e ambigua dell’inno metal Take Hold Of The Flame (che apre loro il mercato giapponese) e le armonie parallele di NM 156 ad esempio, i due pistoleri si siedono al tavolo dell’heavy metal cambiando le carte in tavola ma dopo aver cambiato anche le loro pistole. Le precedenti e strane Gibson S-1 modificate con pickup DiMarzio X2N lasciano spazio alle Kramer Superstrat (per Chris le Black Kramer Voyager e White Pacer Special).
La band parte così per un acclamato tour mondiale aprendo per Maiden, Kiss, Accept, Dio, eppure, è The Warning [l’album] che chiude con la fase power dei Queensr ÿ che. La vena sperimentale di Tate si impone spingendo la band a trovare una propria identità, perché in fondo gli Iron Maiden esistono già. In quel 1986 baciato dagli dei del metal (Master Of Puppets, Reign In Blood, Peace Sells… ), diviso fra Bellevue e Vancouver, nasce Rage For Order , nella cui copertina compare per la prima volta il logo della band, il Tri-r ÿ che rappresentato da un misterioso falco pellegrino stilizzato.

Stretti fra le spinte della EMI per un disco più commerciale e la voglia di affrancarsi dai cliché metallari, i Queensr ÿ che rimangono fedeli al loro motto “No Limits” ed elaborano un glam-goth dagli echi industrial e tentazioni kraut-rock, spericolato e avanguardistico che è un tuffo nel futuro. [Indicativa la presenza alla consolle di Dave Ogilvie degli electro-industrial canadesi Skinny Puppy che proprio in quei giorni registrano nella sala a fianco il claustrofobico Mind : The Perpetual Intercourse ]

La band abbandona le borchie dei Judas Priest per il make-up dei Poison ma anche i testi dungeons&dragons degli esordi per quelli complottisti (intelligenza artificiale, controllo governativo, robotica) enfatizzati dall’uso di synth, effetti vocali e dalla spiccata atonalità e dissonanza di DeGarmo. Scioccante, infine, la (stratosferica) cover di Gonna Get Close To You della pop star canadese Lisa Dalbello, scelta come primo singolo a lanciare l’album.
Pur se abbandonato definitivamente il metal tout-court, l’interazione fra DeGarmo e Wilton evolve ancora e testimonianza ne sono gli ariosi accordi stratificati che aprono la cybernetica Screamin’ In Digital o gli assoli spettacolarmente intrecciati nell’infuocata Walk In The Shadows.
Prima del tour DeGarmo è invitato da un roadie alla Music Bank di Seattle per assistere alle prove di quattro giovanissimi glam rockers suoi fan e con le stimmate dei predestinati: sono gli Alice In Chains. Ne nascerà un’amicizia e una stima reciproca giunte sino ad oggi.
I Queensrÿche vanno in tour dovunque, aprendo per Bon Jovi, AC/DC e Ozzy ma le loro tematiche socio-politiche, in quel contesto tutto donne&macchine, sono fuori posto.

Tate immagina allora qualcosa di più grandioso per esprimerle: un concept album. Un format alla stregua delle grandi narrazioni elaborate dal prog/rock dei Settanta ma ancora poco esplorato nel metal, con il solo King Diamond ad aver musicato l’horror story di Abigail l’anno prima (e con i Maiden curiosamente al lavoro proprio in quelle settimane al mitologico concept Seventh Son Of A Seventh Son ). Dopo il sensazionale successo dei Queensr ÿ che, invece ci proveranno un po' tutti: Danzing, Dream Theater, Opeth, Mastodon.

Influenzato dal fatto di aver frequentato gli ambienti di anarchici ed eroinomani a Vancouver, Geoff  Tate espone alla band la sua storia cospirazionista sulla manipolazione attraverso le droghe e i media. DeGarmo è l’unico della band a condividere l’entusiasmo del cantante e si getta a capofitto nella scrittura. Lo scetticismo degli altri tre durerà ben poco.
Le registrazioni iniziali hanno luogo a Gladwyne, in Pennsylvania, poi a Le Studio a Montreal (Canada) con il produttore dei Rush, Peter Collins. Sarà uno sforzo ciclopico.
I fan e i critici definivano la musica dei Queensr ÿ che “thinking man’s metal” molto prima del 27 aprile 1988, quando pubblicano Operation: Mindcrime … dopo non sarà più possibile definirlo metal.
 

OPERATION: MINDCRIME
Ambientata in una Seattle simile a Gotham City, Operation: Mindcrime è una imponente e cupa distopia su una America futura forse non così lontana da oggi, fra corruzione politica, demagogia anarcoide, terrorismo eversivo, controllo delle menti, propaganda totalitaria dei mass-media, immoralità della Chiesa, tossicodipendenza, sesso, violenza. Un panorama di decadenza suggerito a Tate dalla situazione dell’epoca, la cui trama inizia da un letto d’ospedale su cui giace in stato di semicoscienza il protagonista, Nikki, che pronuncia il celebre incipit: “I remember now, I remember how it started…”

Una storia quasi cyber-punk che si snoda tutta d’un fiato seguendo il flusso dei ricordi confusi del tossico e manipolato Nikki, sofisticata nell’asincronia fra fabula e intreccio e nei diversi piani di lettura che offre (politico, sociale, culturale), in un continuo susseguirsi di flashback e colpi di scena e che si conclude senza un finale (chi cavolo ha ucciso Sister Mary?), ricongiungendosi alla scena iniziale e lasciando irrisolta la suspense del racconto, peraltro acutizzato dalla visionaria sensibilità di DeGarmo, assecondata da una band in stato di grazia. Uno sfondo sonoro maestoso.
Essenzialmente, i Queensrÿche convogliano il concetto di opera rock (vedi The Who, Pink Floyd e Rush) nel twin-guitar-attack e nel canto multi-ottave à-la Maiden, Priest e Dio, immergendo l’ascoltatore in una drammatica tensione che si scarica in ritornelli possenti, furbescamente concepiti per far cantare a squarciagola le arene di tutto il globo.

Operation: Mindcrime è davvero un salto senza rete laddove il metal non è mai stato: attori drammatici a doppiare segmenti recitati e campionamenti d’ambiente in stile The Wall , ondate operistiche affidate a Michael Kamen (succesivamente al lavoro con i Metallica) e cori gregoriani ed infine la voce infestata di Pamela Moore ad interpretare Sister Mary in un duetto ineguagliabile con Tate/Nikki, il tutto fuso con poliritmia prog rock, riff cingolati e arpeggi sognanti in una sensazionale aderenza della musica alla storia. Una sinfonia rivoluzionaria, dunque, che sarebbe stata sbalorditiva anche senza una trama così avvincente, narrata dalla voce acrobatica di Tate.

Il beat muscolare di Scott Rockenfield che pesta dal suo “incatenato” kit Ddrum ed il fingering di Eddie “One Take” Jackson col suo Spector NS-2 Bass che pompa roco come il motore di una Harley al minimo, sono la poderosa ancora che regge alla tempesta chitarristica scatenata dal duo Wilton-DeGarmo, fluidi e sincroni a scambiarsi ritmiche ed assoli, e ben distinti nelle loro peculiarità: le raffiche di terzine alternate e le note in sedicesimi di Wilton e il suo vibrato stretto alla K.K. Downing (ma più controllato) fanno il paio con le melodie svettanti di DeGarmo e il suo vibrato largo à-la Gilmour, migliorato nel tempo come il vino.
In definitiva, Wilton è l’uomo degli assalti (i riff taglia-gola di Spreading The Disease, Speak e The Needle Lies ) e DeGarmo l’uomo delle emozioni (i lanci da k.o. e i fraseggi sublimi delle super hit Revolution Calling, Eyes Of A Stranger, I Don’t Believe In Love , e i dieci minuti floydiani e goticheggianti di Suite Sister Mary , l’obelisco della discografia dei R ÿ che).  
Le recensioni sono trionfanti ovunque ma mentre il Regno Unito si affretta a celebrarlo (“è il disco che avrei voluto fare con i Maiden”, dirà Bruce Dickinson), il mercato statunitense resta perplesso. Infatti, per quanto innovativo sia, Operation: Mindcrime non è un successo immediato, debuttando al numero 50 della classifica di Billboard in un momento in cui numerose metal band commerciali stanno diventando multi-platino.

I Queensr ÿ che nel frattempo hanno alzato la posta in palio passando sotto il potente management della Q Prime che li porta a suonare ovunque in Europa e USA, accanto ai loro enormi compagni di scuderia Metallica, Def Leppard e Guns N' Roses. Ma, per quanto le canzoni siano così forti da stare in piedi da sole, l’essere ancora una opening-act-band mortifica il racconto dell’album. E’ così che i Queensr ÿ che azzardano e lo eseguono per intero nelle date inglesi del tour, ottenendo un riscontro di pubblico eccezionale.
Ma, a far esplodere la bomba Mindcrime, è l’interesse della sempre più influente MTV.

Tate ricorda: “MTV ha chiamato, uno di loro era un nostro fan, e ha detto che se avessimo fatto un video, l’avrebbero pubblicato. Così abbiamo investito tutti i nostri soldi nella realizzazione di Eyes Of A Stranger. Immediatamente l’album è diventato disco d’oro, poi disco di platino, poi doppio disco di platino, e da allora ha continuato a vendere…”
Operation: Mindcrime diviene disco di platino nel 1991, trainato anche dal successo del loro mastodontico blockbuster Empire (1990), il disco della loro consacrazione commerciale con tre milioni di copie vendute soltanto negli Stati Uniti, autentico juke-box made in DeGarmo, fatto di singoli irresistibili, fra cui il più celebre della loro carriera, il gilmouriano Silent Lucidity che si issa addirittura al numero 9 della top 100 Billboard e si accaparra due nominations ai Grammy.

Nonostante il fatto che i Queensr ÿ che stiano promuovendo Empire , la band osa ancora una volta e filma un’intera performance live di Mindcrime di fronte a schermi giganti, con sequenze cinematografiche proiettate dietro di loro; Operation: Livecrime venderà più di 260.000 copie in formato VHS nei soli Stati Uniti, prima che la EMI lo cancelli nel 1998 per trasferirlo poi su DVD. Un successo clamoroso e inarrestabile, tanto che la band prende a discutere di trasformare il concept in un film.

Nel periodo Mindcrime/Empire, Degarmo tocca il suo apice. Il suo guitar playing si fa sempre più musicale, riponendo le dissonanze degli esordi e iniziando a flirtare anche con il blues (ma senza l’approccio pentatonico), rallentando consapevolmente e liberando la sua passione per Gilmour, come testimoniano l’uso di slide guitar e lap steel, o anche l’intro di Eyes Of A Stranger (che rispecchia quella di Empty Spaces dei Floyd) o quella di Silent Lucidity (che riecheggia Comfortably Numb). Soprattutto, è il suo distintivo suono che continua ad ammaliare: notevolmente più caldo e morbido di quello di Wilton, inizialmente ottenuto accoppiando le Kramer Super Strat con i Marshall JCM800 da 100 watt e i cabinet Marshall 4x12” dotati di speaker Celestion Vintage 30.

Con Mindcrime invece, sia DeGarmo che Wilton passano alle ESP, chitarre più brillanti e penetranti per via del loro corpo in acero: la Skull e la Graffiti di Wilton e le celebri le M-II di Chris, la bianca Tri-ryche, la nera Cross Daggers e la multicolore Warhol, come anche la doubleneck personalizzata. Gli effetti arrivano da processori digitali Roland e Yamaha a rack, che restituiscono un suono ancora più luminoso e tagliente, mentre su Empire le chitarre diventano più calde grazie agli enormi impianti Bradshaw e con un DeGarmo che inizia ad utilizzare un preamplificatore Soldano che ingrassa il suo suono. Inoltre, in studio, compaiono per entrambi, anche le Les Paul e cabinet più piccoli, 1x12”.
In quanto ai pickup, DeGarmo e Wilton continuano ad essere fedeli agli humbucker Seymour Duncan: JB e ‘59 per il primo, fondamentali per esaltare quegli accordi magistralmente puliti, e JB e Distortion per il secondo.

Nel 1990, dunque, i Queensr ÿ che sono una band di calibro internazionale, oltre che i padrini del progressive metal dei Novanta. Ma i tour sono sempre più lunghi, i palchi sempre più grandi e la grande famiglia allargata che faceva vacanze e grigliate con i pargoli al seguito non c’è più: i matrimoni si sono sfasciati, le nuove compagne e le pressioni del business portano zizzania e l’alcol diventa un problema. Nelle vesti di artista, DeGarmo sente di aver detto tutto quello che doveva e, appena terminato l’infinito tour di Empire, comincia a desiderare di scendere dal carrozzone per salvaguardare la sua famiglia. Come non aveva fatto suo padre al tempo…

 

IL CANTO DEL CIGNO
All’improvviso però esplodono i Nirvana e tutto diventa obsoleto. Seattle è di nuovo l’ombelico del mondo ma non più per i Queensr ÿ che che, dopo ben quattro anni da Empire , tornano con l’introspettivo e rarefatto Promised Land (1994), il canto del cigno di DeGarmo, che regala altre perle come l’emozionante ed autobiografica Bridge (l’abbandono del padre rimane un buco nell’anima), la pesantissima title-track e il ritornello di Am I Am dove con Wilton stende un bellissimo tema di chitarra orientale a doppia armonia.

Dopo di che, con il grunge beatlesiano di Hear In The Now Frontier (1997), affondato subito dal fallimento improvviso della EMI che lascia la band senza promozione e con un tour dimezzato da autofinanziare, DeGarmo si accomiaterà dal music business per dedicarsi all’amata famiglia.
Da allora Chris DeGarmo è letteralmente sparito dai radar, escludendo la rimpatriata con i suoi ex compagni in alcune tracce di Tribe (2003) e le collaborazioni minori (fra cui quelle con l’amico Jerry Cantrell) lasciando tante domande e tanta nostalgia avvolte nel silenzio, lassù a Puget Sound.


 
Operation:Mindcrime – la trama
Il protagonista è Nikki, personaggio simile al mod Jimmy di Quadrophenia degli Who, che riprende coscienza in un letto d’ospedale da dove iniziano a riaffiorare i ricordi. Nikki è l’espressione di quella gioventù proletaria stanca di subire l’arroganza del Potere. Rimasto ammaliato dall’arringa contro il Sistema ascoltata dall’enigmatico Mister X, finisce arruolato nella sua struttura segreta che ne plasma la rabbia e la tossicodipendenza per i suoi fini rivoluzionari. Manipolato e reso catatonico dall’eroina e dal lavaggio del cervello, Nikki diventa così un killer silente di politici e religiosi che si attiva alla parola d’ordine che X alla bisogna gli pronuncia al telefono: Mindcrime.

Fino alla comparsa di Sister Mary, figura manzoniana di ex prostituta redenta e per questo abusata ogni settimana da un religioso indegno, Padre William. Nikki se ne innamora a tal punto che X gli ordina di ucciderla, temendo che lei possa farlo rinsavire. Nikki rifiuta il comando dimostrando che l’amore può resistere all’indottrinamento e alla tossicodipendenza, ma Sister Mary viene misteriosamente trovata morta, gettando Nikki nella disperazione più profonda, dalla quale si risveglia in quel letto d’ospedale da dove il racconto ha inizio.

“Per Mindcrime , ho optato per un approccio più freddo e glaciale. Stavamo cercando un suono brutale, quasi fastidioso, davvero. […] Siamo sempre stati molto testardi a voler fare le cose come volevamo, senza essere aziendali ma imprevedibili, quindi, sperimentare senza compiacere a priori i gusti del pubblico…” – Chris Degarmo

Geoff Tate ricorda le strane domande della stampa dopo l’uscita di Operation:Mindcrime : “questa storia, anche se inventata, è una tua idea? State progettando una rivoluzione sovversiva contro il governo? Vuoi che diventiamo assassini per te?” – “Non sono mai stato un vero fan del metal, ma sono stato ispirato dal ragazzo con cui stavo suonando, Chris DeGarmo, che è un songwriter molto stimolante. Se non ci fosse stato lui, non sarei mai entrato a far parte dei Queensr ÿ che. Io e lui non ci siamo entrati come fan del metal, ci siamo entrati come fan della musica che volevano scrivere musica…”

 

 

 

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