BODY COUNT ERNIE C Carnivore

di Francesco Sicheri
01 marzo 2020

intervista

Body Count
Ernie C
Carnivore
Se i Beach Boys cantano del surf e della spiaggia, noi siamo di South Central, Los Angeles, e cantiamo di quello che succede là, è inevitabile!” Dal 1990 Ernie C ed i Body Count sono il manifesto altisonante della miscela fra il metal più duro ed il rap dalla tempra più ruvida. A tre anni da Bloodlust, finito in vetta alle classifiche d’ascolto, Carnivore arriva con lo stesso mood belligerante ed esplora di nuovo le proiezioni dell’uomo più crude e sanguinolente...

Ernie C, classe 1959, insieme a Ice-T ha fatto la storia del metal per come lo conosciamo, mettendo in atto un esperimento più unico che raro. Dall’inizio degli anni ‘90 ad oggi i Body Count continuano a progredire in quella commistione di rap e metal che li ha resi famosi e che gli è valsa la stima di fan sparsi in lungo e in largo per il mondo. Fra i mille impegni di Ice-T, da tempo nei panni del personaggio Fin Tutuola nella famosa serie Law & Order, i Body Count hanno saputo comunque portare avanti un progetto sulla lunga distanza, mettendo...

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in fila una serie di felici pubblicazioni che con Carnivore sembra toccare l’apice del processo iniziato da Manslaughter e Bloodlust.

In occasione dell’uscita del nuovo album della band abbiamo colto l’occasione per scambiare qualche parola con il sempre affabile Ernie C, che ci ha raccontato di come le cose siano cambiate dagli anni ‘90 ad oggi e del processo di lavorazione che ha portato ad ultimare Carnivore nel modo più diretto e potente possibile.

Ciao Ernie, come stai? Dove ti trovi al momento?
Hey ragazzi, vi dico una cosa molto divertente. Al momento, il chitarrista di una band metal che ha battezzato l’ultimo album Carnivore, è a Miami per la presentazione di un lavoro audio per un progetto di animazione per bambini! [ride] E non sto parlando di animazione di quella che si vede al cinema, ma di qualcosa di pensato per bambini molto piccoli… Aggiungo che diverse delle persone che sono qui alla presentazione, non sarebbero da lasciare sole vicino a nessun bambino! [ride] Quindi tutto alla grande, amici.

Beh, un ottimo modo per anticipare l’uscita del vostro nuovo album!
Non trovate? Io direi che è il modo perfetto (ride).

Con la band ormai hai pubblicato diversi album, e fai questo mestiere da qualche tempo... provi ancora quella eccitazione che precede l’uscita di un nuovo lavoro?
Oh sì man! Assolutamente sì, onestamente mi sento proprio come quando abbiamo pubblicato il nostro primo album. Caspita, mi ricordo ancora di quando abbiamo finito di registrare Body Count, non vedevo l’ora di farlo ascoltare a tutti. Le cose non sono diverse con Carnivore. Anche se è passato tanto tempo, noi siamo sempre gli stessi… perlomeno mentalmente. Siamo ancora quei ragazzi motivati e pronti a fare di tutto per la propria band, in molti modi siamo esattamente gli stessi “ragazzini”, e penso che questo derivi dal fatto che con Ice-T siamo cresciuti insieme, siamo amici da una vita e anche soltanto passare del tempo insieme a fare musica è una delle cose più divertenti del mondo! Quando andiamo in tour il nostro tour-manager è un amico che conosco da quando andavamo a scuola insieme alle superiori, e ci sono diversi altri amici che mi porto dietro dalle superiori nel nostro staff. Ogni volta è una reunion, come faccio a non divertirmi? Quindi quando esce un nuovo album è una sorta di celebrazione con i miei migliori amici.
 
Pensi che con il titolo "Carnivore" stiate proseguendo qualcosa che è iniziato con brani come "No Lives Matter"?
Oh assolutamente man. L’uomo è il carnivoro più pericoloso. Noi uomini siamo i carnivori più tremendi in circolazione, e questo non soltanto perché mangiamo carne per sopravvivere - non è quello il significato del titolo - ma perché uccidiamo i nostri simili per fagocitarne le vite, i soldi e le opportunità. Il significato di Carnivore è che l’uomo farebbe di tutto per il proprio benessere personale, soprattutto uccidere i propri simili.
 
E con un tema del genere non era ovvio aspettarsi quello che probabilmente è il vostro album più “melodico”. Pensi sia corretto vederlo in questo modo?
Sì, penso proprio di sì. E onestamente credo anche di poter dire che questo tipo di album arriva a questo punto della nostra carriera come una naturale evoluzione di ciò che abbiamo iniziato a fare molto tempo fa. La band è progredita, questo è certo, e ascoltando Carnivore è facile comprendere quanto. Il nostro primo album, Body Count, era praticamente un album punk, oggi non saremmo in grado di fare qualcosa di quel tipo. Suoniamo quei brani dal vivo, ma quando iniziamo a lavorare su del nuovo materiale non scriviamo più in quel modo.
 
Il tuo amico e compagno di band Vincent recentemente ha detto che "Carnivore" è l’album che segna il culmine di un processo iniziato con "Manslaughter" e "Bloodlust". Che tipo di cambiamento pensi la band ha attraversato durante la realizzazione e pubblicazione di questi album?
Onestamente è difficile da descrivere, penso - in fin dei conti - che sia soltanto qualcosa di naturale che succede quando una band è pronta a mettersi in gioco ed è volenterosa nel guardare avanti. Tempo fa ci siamo presi una pausa dal progetto perché tutti quanti - non soltanto io ed Ice - avevamo bisogno di staccare per rigenerare le nostre forze, e quando siamo tornati in studio insieme ci siamo accorti di come le cose fossero migliorate proprio grazie al quella pausa. Gli album pubblicati dopo il break, come Manslaughter e Bloodlust hanno giovato enormemente del break, perché abbiamo messo da parte molte idee, le abbiamo lasciate maturare e poi ci siamo ritrovati in studio più forti che mai. Oltre a ciò penso che anche portare in studio un nuovo produttore abbia aiutato a dare al nostro progetto qualcosa di diverso, perché avere un paio di orecchie “fresche” in studio aiuta anche a vedere le cose in maniera diversa.
 
E ovviamente, parallelamente a questi cambiamenti, siete tutti “cresciuti” e anche le vostre vite personali sono cambiate nel tempo…
Esattamente. Questo è il punto, quando cresci insieme, quando la tua famiglia cresce e cambia, quando il tuo mondo fuori dalla band si evolve, allora anche la band lo fa. Bisogna saper far entrare questi cambiamenti nei propri progetti artistici, e nella musica per me questo vuol dire lasciare che la vita cambi la mia musica in modo naturale, senza spingerla a fare qualcosa di forzato o qualcosa di obbligatoriamente uguale al passato. Crescere insieme e invecchiare insieme ai ragazzi della band ha aiutato a spingere la nostra musica verso qualcosa di nuovo e di più maturo.

Bloodlust è stato uno di quei dischi che i fan hanno adorato, ed anche la stampa l’ha premiato e osannato come uno degli album metal più riusciti del 2017. Avete sentito qualche tipo di pressione nel momento in cui avete iniziato a lavorare a Carnivore? No, quel tipo di cose non ci riguardano molto, perché siamo stati messi sotto pressione fin dal nostro primo album. Quando Body Count è uscito il mondo ha puntato gli occhi su di noi, anche grazie al fatto che Ice era la voce della band, e così quando abbiamo iniziato a lavorare al nostro secondo album, Born Dead , le aspettative erano altissime. La verità è che con i Body Count tutto vive nel presente, quando lavoriamo ad un album non ci preoccupiamo del precedente o di quello che abbiamo fatto anni prima, questo perché non si può catturare l’essenza di un momento e non si può essere davvero concentrati su qualcosa se ci si continua a rapportare con il passato. Amiamo ciò che facciamo e soprattutto amiamo farlo perché ci permette di dare voce a qualcosa che abbiamo dentro. Non facciamo musica solo per venderla, ma abbiamo un nostro progetto in testa. Carnivore non sarebbe qui se non fosse stato per Manslaughter e Bloodlust , è una prosecuzione di quei lavori, ma non ci siamo mai fermati a pensare a come “battere” i risultati di Bloodlust .
 
Su un piano più prettamente chitarristico, ti sei posto qualche obiettivo specifico quando hai iniziato a lavorare alle chitarre di "Carnivore"?
L’obiettivo era quello di far sentire le chitarre in maniera diversa. Volevo fossero un po’ più potenti ma allo stesso tempo volevo fossero più chiare e cristalline. Penso che in Carnivore possiate sentire ogni nota, le chitarre suonano molto definite e questo è merito di una produzione che è stata pensata proprio per enfatizzare quel tipo di elementi.
Per quanto riguarda la mia chitarra non avevo altri obiettivi. Sono un chitarrista che prova sempre a mantenere le cose semplici e soprattutto tengo le mie aspettative molto basse (ride), così il risultato sarà sempre oltre ciò che mi immagino quando registro (ride). Scherzi a parte, il fatto è che sono conscio delle mie abilità tecniche, so cosa posso fare e soprattutto so cosa non posso fare, perlomeno per ora. Per questi motivi cerco di dare all’album il mio apporto più solido e sincero, senza voler strafare là dove so che invece Juan può essere un chitarrista più efficace. Inoltre ormai sono in giro da qualche anno e la gente sa quali siano le mie capacità, non ho bisogno di mettermi in mostra, cosa che invece era più facile fare quando ero giovane. Oggi voglio che i nostri album suonino bene, se questo richiede che io suoni qualche nota in più sono pronto a farlo, ma se serve che io suoni semplicemente una ritmica anche molto ripetitiva non ho alcun problema a dare il meglio anche in quello.
 
Ci dici qualcosa del modo in cui ti avvicini alle tue parti solistiche? Hai un processo di “scrittura” che segui di volta in volta, oppure ti limiti ad ascoltare il brano e seguirne l’andamento?
Più la seconda opzione direi. Non sono uno di quei chitarristi che scrive le proprie parti soliste, preferisco ascoltare bene il brano e di volta in volta registrare diverse versioni dello stesso solo. Non mi piace tagliuzzare qua e là fra le varie take e comporre la versione perfetta del solo, preferisco registrare più versioni “complete”, e alla fine scegliere quella che mi convince maggiormente. Ho lavorato in studio con Tony Iommi e sono stato felice di vedere che anche lui, che è uno dei miei idoli, lavora in questo modo. La parte veramente difficile è scegliere la versione del solo con la quale puoi convivere per il resto della tua vita. Si tratta di una scelta molto impegnativa.
 
Quando poi sali sul palco per uno show cosa succede? Ti attieni alle note registrate per l’album oppure ti lasci prendere dal momento e cambi qualche elemento di tanto in tanto?
Dipende dalla giornata e dipende dal brano. Ci sono alcune cose che vanno sempre lasciate come si ascoltano nell’album. In generale dal vivo suono sempre i miei soli cercando di ricreare il mood dell’album, non cambio troppo le cose perché i brani hanno comunque delle “regole” interne che bisogna rispettare per rendere al meglio l’atmosfera generale. Ci sono dei brani invece che per loro natura lasciano spazio a qualche cambiamento, ed in quei casi con Juan ci divertiamo a “mescolare” le carte in tavola quando siamo sul palco.
 
Nel brano "The Hate is Real" c’è una sezione - anche molto corposa - nella quale tu e Juan of the Dead vi alternate in delle parti solistiche incrociate, per poi passare invece ad una sezione di armonizzazione. Si tratta di qualcosa che non avevate mai provato con la band…
Ci siamo divertiti davvero un sacco. Con i Body Count non siamo soliti avere brani dove parti di quel tipo sono facilmente incorporabili, e pertanto abbizmo colto al volo l’occasione per toglierci questo sfizio. Juan è un tipo di chitarrista molto più propenso a quel tipo di sonorità che io definisco “classic metal” semplicemente perché molti dei grandi nomi del metal - come i Maiden - ne hanno fatto il loro marchio di fabbrica. Malgrado ciò devo dire di essermi divertito davvero moltissimo nel momento in cui l’opportunità mi è stata offerta. Penso che il risultato finale sia un brano diverso da quanto ci si aspetta dai Body Count, e credo che sarà molto divertente da suonare dal vivo. Sono curioso di vedere come cambierà il brano sul palco, perché per ora non abbiamo ancora suonato i brani di Carnivore per il nostro pubblico.
 
Per quanto riguarda la tua strumentazione, hai utilizzato qualcosa di particolare per "Carnivore"?
Come vi dicevo prima, sono una persona semplice e non amo particolarmente cambiare cose che funzionano già molto bene. Con le mie Schecter mi trovo benissimo da molto tempo. Suono una Hellraiser con Floyd Rose e con un solo pickup, niente di più basilare, e questo perché voglio cercare di concentrarmi sul suonare piuttosto che sul dover avere a che fare con un setup troppo complicato da gestire. In generale quindi Schecter Hellraiser è la mia prima scelta, principalmente con il solo pickup al ponte, ma a volte uso anche una regolare Hellraiser, sempre con ponte Floyd Rose. Come ho già detto altre volte le mie Schecter sono la chitarra giusta per ciò che facciamo con i Body Count, sono equilibrate sul piano del peso, sono facili da tenere nelle giuste condizioni per affrontare lunghi tour, e sono belle da vedere… detto ciò non è la stessa cosa dell’avere fra le mani una Les Paul del ‘59, ma quella è un’altra storia.
 
Anche i tuoi amplificatori sono gli stessi da qualche tempo…
Esatto. Mi trovo molto bene con le testate EVH 5150, il modello da 100 watt. Sono amplificatori che riescono a sopportare ogni cosa gli “tiri addosso”, e così come per le Schecter sono amplificatori perfetti per ciò che facciamo con i Body Count. La cosa migliore è che mi permettono di ottenere quella distorsione compatta della quale ho bisogno per i nostri brani. Anche in questo sono un uomo semplice, non ho bisogno di troppe cose, ad esempio non uso nessun pedale, non più perlomeno.
 
C’è stato un periodo della tua carriera nel quale usavi un setup più articolato?
Oh sì, assolutamente. Non fraintendetemi, sono un chitarrista e come tutti sono malato di pedali e strumentazione. Ne compro di continuo e adoro imparare a usarla, semplicemente con i Body Count penso più al risultato finale che al “giocare” con il mio suono. Detto questo negli anni ‘90 siamo partiti per un tour mondiale ed io avevo al mio seguito un rack gigantesco pieno zeppo di roba, la mia pedalboard a quel tempo era una portaerei (ride). La cosa più assurda è che una volta arrivati in Europa un tecnico ha collegato il mio rack senza badare al fatto che il voltaggio delle vostre prese è diverso da quello delle prese americane, e così ho bruciato l’intero rack prima ancora di poter iniziare le date europee. Ho finito il tour con un amplificatore preso a noleggio ed un wah wah (ride). Abbastanza assurdo pensandoci, ma in realtà mi ha insegnato una grande lezione: devi saper suonare anche solo con chitarra e amplificatore. Penso che sia qualcosa di cui ci si dimentica troppo spesso, perché pedali e “giocattoli” per arricchire il nostro sound sono uno grande divertimento, ma un buon suono non richiede necessariamente troppi elementi.

Ernie pensi che ti vedremo presto anche dalle nostre parti con i Body Count?
Oh me lo auguro, mi piace molto venire a suonare in Europa. Il vostro pubblico è diverso da quello americano ed è stimolante vedere come i nostri brani vengono recepiti in Europa o. In Italia nello specifico abbiamo sempre avuto esperienze stupende, quindi mi auguro che durante la serie di festival estivi si riesca a passare anche dall’Italia.

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