Nothing More, Jonny Hawkins si racconta...

di Annalisa Russo
14 luglio 2018

intervista

Nothing More
Jonny Hawkins
The Stories We Tell Ourselves
Rock The Castle – Villafranca (Verona)
29 giugno 2018

Formati a San Antonio (Texas) nel 2003, i Nothing More popolano il variegato habitat dell’hard rock. Noi abbiamo incontrato Jonny Hawkins dopo lo show e ci siamo fatti raccontare un po’ di cose…

Nothing More lineup
Jonny Hawkins (lead vocal)
Mark Vollelunga (guitar, backing vocal)
Daniel Oliver (bass guitar, backing vocal)
Ben Anderson (drums, percussion)


Benvenuti in Italia! Cosa ne pensate della location del Rock In The Castle? Bella vero?
Sì, sono rimasto molto sorpreso! E’ una location molto grande, ma penso che nel momento in cui abbiamo suonato noi, la gente fosse ancora al lavoro… in fondo è venerdì.

Inoltre fa anche molto caldo oggi…
Sì, ma l’arena nel castello è veramente stupenda, la adoro.

Penso che la gente si sia molto divertita con voi nonostante il caldo! Iniziamo con le nostre domande: che genere di chitarre e bassi vi siete portati sul palco?
Normalmente come chitarre utilizziamo le Aristides, una azienda olandese davvero in gamba, votata alla costante ricerca verso l’innovazione, sperimentando materiali e soluzioni rivolti a sound e comfort. A ma piacciono un sacco! Come bassi utilizziamo ErnieBall MusicMan; precisamente, il Bongo Bass.

E’ stato...

l'articolo continua...

decisamente cool vedere sul palco quel marchingegno con il basso che gira su se stesso…

Sì, è una delle nostre “macchine da palco”: noi lo chiamiamo “Bassinator”!

Volendo fare un bilancio ad oggi: com’è stata la reazione del pubblico nei confronti di “The Stories We Tell Ourselves”, il vostro ultimo album uscito alla fine del 2017?
Siamo molto contenti. Sai, ogni album suscita reazioni diverse da parte degli ascoltatori… chi si aspettava una cosa diversa, chi è contento… In tutti i casi, si tratta di un disco che richiede maggior tempo per essere metabolizzato rispetto ai nostri album passati. Sì, è proprio un album diverso dal precedente…

Il titolo fa pensare a una sorta di viaggio interiore: è realmente così?
Ho cercato di mettere in evidenza le cose che ho visto e osservato nella realtà; di raccontare il potere delle storie che si vivono realmente, come le relazioni personali, il lavoro e tutte le altre situazioni che fanno parte della nostra vita.

Quindi è un album autobiografico?
Sì, potrebbe esserlo. Sai, la mia vita è cosi ricca di colori, che crea per me tante storie da raccontare… Ecco, in questo album ho voluto parlare dei viaggi che facciamo ogni giorno nelle nostre vite.

Vuoi dire che tramite il rock avviene un viaggio introspettivo? Un rock spirituale, potremmo dire… anche se poi sul palco tiri fuori un sacco di grinta!
Sì, dal palco mi piace trasferire l’energia… In tutti i casi, hai ragione: questo album è molto introspettivo e spirituale.

Quali musicisti ti hanno influenzato maggiormente nella tua carriera?
Quando me lo chiedono mi è sempre difficile rispondere… non ho così tante influenze artistiche… Man mano ascolto musica nuova e artisti nuovi, e possono influenzarmi nel processo creativo.

Allora mettiamola così: chi ti ha ispirato così tanto da farti decidere di fare il musicista?
Fammi pensare… Beh, sicuramente Muse, Rage Against The Machine e Tool sono stati molto importanti.

In quanto al vocalist che ti ha ispirato?
Il cantante dei Circa Survive che sul palco era veramente un selvaggio! Anche il cantante dei Fear To Midland, mi ha influenzato moltissimo. Beh, sì… mi piace il progressive, poiché richiede stati d’animo particolari. Non sono propriamente un fan dei Dream Theater, anche se Mike Portnoy è un grandissimo batterista!

“Go To War”, 12esima traccia di “The Stories We Tell Ourselves”, utilizza parecchio l’elettronica: ti piace utilizzare suoni, plug-in, effetti vari?
Sì. Ho il mio studio e mi curo anche dell’elettronica nelle nostre produzioni. Mi piacciono un sacco i NIN, i loro suoni ed il modo in cui utilizzano gli effetti, e così i Muse che utilizzano parecchio anche gli archi, nonché Imogen Heap, una compositrice britannica di synth-pop.

“Fade In/Fade Out”, sempre tratta dal vostro ultimo album, è una bellissima ballata: come è nata?
Nel penultimo nostro album, l’ultima traccia parlava di mia madre, mentre questa ballad è dedicata al padre di Mark [Vollelunga] che, tra l’altro, è padre a sua volta. E’ una song ispirata dal fatto che dopo che lui e sua moglie hanno avuto Phoenix, il loro figlio, Mark ha preso a vedere la severità di suo padre in maniera diversa… Tra l’altro il padre di Mark è stato uno di quelli che ha sempre supportato la nostra band e così abbiamo voluto parlarne.

Quindi i testi chi li scrive?
Li scriviamo tutti assieme.

Giusto per chiudere: c’è qualche aneddoto capitato in studio che ti va di raccontarci?
Noi della band siamo amici dall’età dei 15 anni. Prima stavamo sempre tutti assieme, ma poi abbiamo cominciato a fare tour più lunghi e così, quando rientriamo, ci prendiamo un periodo di pausa da noi stessi. In realtà, noi siamo più fratelli che semplici amici. Una storia divertente? Eccola… Quando abbiamo cominciato a lavorare sull’ultimo album, ci siamo trasferiti tutti in una casa per lavorare sui pezzi: ciascuno sulle proprie parti e poi tutti assieme. Quando ci siamo trasferiti in questa casa, noi non lo sapevamo, ma era nei pressi di una cava in cui facevano esplodere la roccia per estrarla. Mentre stavamo registrando, tutto ha cominciato a tremare: ci siamo messi ad urlare “terremoto!” e siamo scappati fuori! Vedendo però che nessuno si era allarmato, abbiamo chiesto a delle persone le quali ci hanno raccontato che cosa aveva causato la vibrazione… Nei giorni a seguire ci siamo dovuti abituare a quelle esplosioni! [ride]








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