JIMMY PAGE LED ZEPPELIN back catalogue
intervista
Jimmy Page, archivista riconosciuto e depositario pressoché unico del sapere zeppeliniano, ha anche altro da festeggiare: il 9 gennaio scorso ha festeggiato i suoi primi 70 anni... di cui oltre 50 di felice matrimonio con la musa Euterpe.
Uomo dalla candida chioma e fisico segaligno che non tradisce la sua età, Page non si è certo ritirato a vita privata, anzi... egli ama non solo bazzicare ancora quel mondo che l’ha visto protagonista, ma nei panni di primattore. Noblesse oblige, direte voi... Beh, diciamo che se il rock fosse una religione (il che non è escluso...) Page sarebbe uno dei suoi più alti prelati.
Se dunque l’anno nasce nel segno di Page, certo i sodali Robert Plant e John Paul Jones non stanno a guardare.
Plant ha mandato in libreria la...
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sua autobiografia, semplicemente titolata A Life, ricca di aneddoti privati e retroscena riguardanti i 12 anni di vita dello Zeppelin (1968-1980), mentre sul fronte discografico sta per arrivare l’album che ha inciso con i Sensational Space Shifter.
John Paul Jones, personaggio riservato e defilato come si conviene ad ogni bassista di rango, è venuto allo scoperto con il nuovo progetto Minibus Pimps, un duo elettronico sperimentale messo su con il musicista/artista/produttore norvegese Helge Sten (noto anche con gli pseudonimi Deathprod e Supersilent). I due hanno appena pubblicato l’album Cloud To Ground: 7 brani incisi in differenti situazioni live in Inghilterra, Norvegia e Danimarca. “Il nome Minibus Pimps è preso da un brano di una compilation cinese di musica sperimentale” - ha dichiarato JPJ - “e il progetto si basa su musica creata a computer, con campionatori, processori, strumenti veri e iPad, egualmente divisa tra parti scritte e totale improvvisazione...” Una decisa sterzata, dopo l’esperienza di 5 anni fa con i Them Crooked Vultures di Dave Grohl e Josh Homme!
Ma torniamo alla notizia della ripubblicazione del back catalogue degli Zeppelin,che ha subito mandato in fibrillazione i fan. L’ultima operazione in tal senso risale a circa 20 anni fa e, sebbene avesse reso (parziale) giustizia alla musica come il suo autore l’aveva originariamente concepita (la prima ristampa su cd dell’Atlantic, negli anni Ottanta, era un guazzabuglio di suoni pressoché indistinti con dinamiche inesistenti), è indubbio che negli ultimi due decenni la tecnologia abbia fatto passi da gigante permettendo, soprattutto a un capace manipolatore qual è Page, di donare nuova veste ai brani, soprattutto riguardo alla profondità e nitidezza dei suoni.
In una recente intervista Page ha dichiarato:
Ogni singolo album è stato rimasterizzato e sarà accompagnato da un secondo cd. Ad esempio Led Zeppelin III: non solo è stato rimasterizzato operando sui nastri originali analogici, ciò che normalmente già si fa, ma ciò è stato fatto anche con i mixaggi provvisori di allora donando al lavoro una completezza di sound totale e definitiva. Ad esempio, c’è una versione completamente differente di Since I’ve Been Loving You, quasi drammatica e molto più grintosa dell’originale. Infine, ogni disco sarà pubblicato in un elegante boxset e accompagnato da alcuni scatti inediti della band..La buona notizia è che i primi tre album arriveranno nei negozi entro l’anno, la cattiva che per gli altri bisognerà attendere il 2015. Page pubblicherà inoltre (probabilmente entro l’estate), anche materiale inedito relativo ai suoi lavori da solista, soprattutto quelli tratti dalla colonna sonora del film Death Wish 2, da Outrider e dai due album con i Firm. Il lupo può anche perdere il pelo ma, fortunatamente, non il vizio!
Led Zeppelin lineup (1968-1980)
Robert Plant – vocal
Jimmy Page – guitar
John Paul Jones – bass
John Bonham – drum
Tecnica e stile
Grazie al successo planetario dei Led Zeppelin e alle spettacolari doti di musicista, Jimmy Page è probabilmente il chitarrista più noto tra quelli appartenenti alla cosiddetta Rock Generation. Ne è prova la doppia induzione nella Rock’n’Roll Hall Of Fame: come membro degli Yardbirds nel 1992 e degli Zeppelin nel 1995.
Descrivere la sua tecnica, tenendo conto dei canoni di allora, equivale a spiegare a qualcuno che non ha mai viaggiato cos’è il mondo. Da dove iniziare? In alcune interviste ha spiegato che, per lui, la musica degli Zeppelin doveva essere: “il matrimonio di blues, hard rock e il vero suono degli strumenti... il tutto innaffiato da chorus potenti... con molte luci e qualche ombra” Una miscela che adotta con successo sin dall’inizio, alla quale aggiunge via via spezie provenienti dalla Jamaica, dal Marocco e dal mondo arabo.
In primis è il blues, doppiato poi dal R&R: dopotutto, ancora prima di imbracciare la chitarra, ascolta ammaliato i successi di Buddy Holly e Elvis Presley. Poi ha l’idea di “yankeetizzare” il blues delle radici, inserendo elementi propri del nuovo rock americano. Una sperimentazione iniziata nei ranghi degli Yardbirds (White Summer, Dazed and Confused) e portata a compimento con gli Zeppelin. Lo Yin (il folk/blues) e lo Yang (la sperimentazione) che, insieme alla creatività, alla conoscenza delle tecniche di registrazione e il libero uso di sovraincisioni creano quel Marshall Sound (soprattutto sul palco) destinato a venir adottato dalla maggior parte delle rock band di quegli anni.
La ferocia di brani come Communication Breakdown, Back Dog e Houses of The Holy aizza le folle e spinge legioni di giovani a imbracciare la chitarra.
In virtù del concetto di suonare “per la band”, Jimmy Page è anche un ottimo chitarrista ritmico, un musicista che, con grande pertinenza, è in grado di alternare accordi di devastante potenza a delicate triadi e arpeggi. Senza dimenticare il suo riconoscibile playing con la chitarra acustica... Over The Hills and Far Away e Ramble On parlano da sole...
Equipment
All’inizio Jimmy Page imbraccia una Fender Telecaster del 1958, regalo di Jeff Beck: chitarra che suona spesso durante i tour del biennio 1968-69.
Ma la più famosa è senza dubbio la sua Gibson Les Paul Standard del 1959 che lo accompagna sin dagli esordi degli Zeppelin.
Un’altra Les Paul Standard, stavolta del 1958 (regalo di Joe Walsh) è tra le predilette di Jimmy Page: le meccaniche sono state sostituite e il manico assottigliato per renderlo simile a quello della Standard del 1959. Il ponte è modificato per consentire un agile utilizzo dell’archetto di violino nel brano Dazed And Confused.
Jimmy Page usa anche una Danelectro, realizzata assemblando due modelli di tale brand ed aggiungendo il ponte Badass: utilizza questa chitarra sul palco, per suonare Babe I’m Gonna Leave You, White Summer/Black Mountain Side e In My Time Of Dying.
Poi c’è la sua Vox a 12 corde, che usa in studio per le registrazioni di Led Zeppelin II.
Una ulteriore presenza fissa del suo gear, è la Gibson Les Paul Custom Black Beauty che utilizza spesso anche con gli Yardbirds... almeno sino a che non gli viene rubata nel corso del tour del 1970.
Nel 1971 Page usa una Rickenbacker a 12 corde e la storica Gibson ES-1275 a doppio manico che porterà in tour sino al 1980 (ovvero, sino allo scioglimento degli Zeppelin) per suonare Stairway To Heaven.
Page utilizza la sua Gibson J-200 acustica per la registrazione di parecchi brani degli Zeppelin del primo periodo (i primi tre album, in linea di massima...) così come una Martin D28 che usa in studio e in tour dopo il 1970. Infine, una Fender 800 Pedal Steel a dieci corde, che porta in studio per le registrazioni di Led Zeppelin e Led Zeppelin III.
Per quanto riguarda gli amplificatori, Page si affida in prevalenza a un Fender Superb Reverb (1968-1969), a un Supro e a un Vox AC30, questi ultimi soprattutto in studio. Poi passa a un Marshall SLP-1959, 100 watt che potenzia egli stesso aggiungendo valvole KT-88. Utilizza anche Hiwatt, Fender Dual Showman, Fender Vibro King e Orange Amp.
Tra gli effetti, quelli che utilizza più di frequente sono: Roger Meyer Fuzz, Sola Sound Tonebender, Vox Cry Baby Wah (modificato da Roger Meyer), Echoplex Maestro, DigiTech Whammy Pedal, MXR Phase 90. Per chiudere con il Theremin, per creare effetti particolari agendo sulla regolazione delle onde sonore (Whola Lotta Love, No Quarter).
Jimmy Page in breve…
Settant’anni sono un bel traguardo. Soprattutto per chi è stato fonte d’ispirazione per generazioni di chitarristi, nonché idolo riconosciuto per milioni di fan dei Led Zeppelin sparsi per il mondo. La figura sottile, vestita di velluto, che “attacca” la chitarra con l’archetto di violino tra gli spasmi sonori di Dazed and Confused rimane il simbolo dell’epoca rock.
Ma Page, il guitar hero per definizione, l’archetipo del super eroe armato di Les Paul, è stato molto più di un carismatico intrattenitore. Musicista dall’innato talento, ha contribuito all’evoluzione della chitarra rock al pari di famosi contemporanei come Eric Clapton, Jeff Beck e Jimi Hendrix.
Ma sono alcuni peculiari aspetti del suo stile e della sua personalità ad averne fatto un maestro unico: l’impegno, la passione e l’ispirazione. Sono queste le doti che hanno reso celebre non solo il suo guitar playing, ma il processo creativo per sé.
Jimmy Page (nato a Londra il 9 gennaio 1944), non ha mai limitato i suoi orizzonti, ma ha voluto essere il leader della migliore rock band del mondo. E, alla testa dei Led Zeppelin, è andato ben oltre i sogni più ambiziosi. Idee come torrenti impetuosi, riff tumultuosi come rapide e melodie vincenti, sono il suo pane quotidiano di allora; il saper combinare mirabilmente l’aspetto tecnico e la vis creativa, l’architetto pragmatico e il genio visionario, la ragione con l’impulso il suo “dono”. Con, in più, il saper rendere il tutto, visivamente e musicalmente, di immediata comprensione anche più...
Nel decennio 1969-1979 ha creato il suo personale pantheon di assoli (da Dazed and Confused a Whola Lotta Love, da Achilles Last Stand a Kashmir) e immortali ballad acustiche, sanguigni blues e heavy riff. E non è un caso che per anni la song più amata sia Stairway to Heaven, con la suo seducente intro di chitarra a dodici corde: una song capace di racchiudere in sé tutti gli elementi distintivi dello stile di Page.
Jimmy Page viene spesso preso a modello, imitato da legioni di axe heroes dell’heavy metal. Con gli Zeppelin, ha sempre suonato “per la band”, rivestendo un ruolo complementare alla potente voce di Plant, ai possenti disegni ritmici di Bonham e le galoppanti linee di basso di JP Jones... Sempre pronto ad usare ora l’ascia, ora un intervento solistico ad effetto, ora il fioretto, oppure un accordo da appoggio alla voce o uno per accompagnare la ritmica. Imparando l’arte di essere musicista a 360° sin dai tempi in cui è ancora ragazzo di bottega (leggi sessionman) in contrasto con il protagonismo fine a se stesso.
Last but not least: alcuni chitarristi rock sono sfrontati e capricciosi, non lui. Jimmy Page è una persona intelligente e colta, in possesso di una sottile ironia. Uomo deliziosamente cordiale, ma anche determinato negoziatore quando occorre. Un professionista tout court. Innamorato dell’arte e dei bei vestiti: più un esteta del XIX secolo che un rocker del XX...
Quello che segue è un estratto dell’intervista che STEVE ROSEN fece nel 1977 a Jimmy Page durante il tour con gli Zeppelin. Ringraziamo il celebre giornalista statunitense per aver offerto al nostro magazine una preziosa testimonianza dell’epoca...
Anno 1977: Led Zeppelin Tour
In un momento di pausa, raggiunto in hotel, Jimmy Page parla di musica, chitarre e di cosa significa essere… Jimmy Page!
Cominciamo ricordando gli inizi della tua carriera di musicista?
Mi eccitavo ascoltando i primi vagiti del R&R: sapevo che stava accadendo qualcosa di importante ma che i media si ostinavano a non considerare. Dovevi avere l’orecchio attaccato alla radio e sintonizzarti sulle stazioni d’oltreoceano per ascoltare buona musica, mi riferisco a Little Richard e cose così. Il disco che mi convinse a suonare la chitarra è stato Baby Let’s Play House di Elvis Presley. Sentii distintamente il suono di due chitarre e di un basso e pensai “voglio essere parte di tutto questo”...
Quando imbracciasti la prima chitarra?
Avevo 14 anni. Allora non c’erano molti libri da consultare e di metodi per chitarra neanche a parlarne. Il jazz era il più diffuso, ma non aveva nulla a che fare con la musica che piaceva a me. La mia prima chitarra fu una Grazioso copia di una Stratocaster, poi arrivò una vera Stratocaster. Infine, alcune Gibson Black Beauty che tenni con me sino a che una gazza ladra decise di portarle al suo nido! Questa è la chitarra con cui ho registrato dagli anni Sessanta in avanti.
Che musica suonavi, agli inizi?
Non suonavo nulla in modo appropriato. Conoscevo alcuni assoli e cose simili, non molto di più. Continuai perciò ad ascoltare dischi, imparando a orecchio. All’inizio le influenze erano le solite di allora: Scotty Moore, James Burton, Cliff Gallup (il chitarrista di Gene Vincent). Poi Johnny Weeks, sino a che iniziai a interessarmi ai chitarristi blues come Elmore James, BB King e gente così...
Pensi che il periodo migliore degli Yardbirds sia stato quello con Jeff Beck in formazione?
L’ho pensato. Giorgio Gomelsky [manager e produttore degli Yardbirds] lo vedeva di buon occhio perché lo stimolava a tentare nuove strade. Fu allora che la band iniziò a sperimentare. Si racconta però che Simon Napier Bell abbia mostrato a Jeff il riff di chitarra in Over Under Sideways Down, per fargli capire il suono che intendeva ottenere, ma non so se sia vero. Ciò che invece so, è che l’idea della band era di rifarsi al mood di brani tipo Rock Around The Clock.
Come fu l’interazione con Jeff Beck durante il periodo Yardbirds?
A volte ottenevamo ottimi risultati, altre meno. C’erano cose, soprattutto dal punto di vista delle armonie, che nessuno allora suonava come noi. Gli Stones erano gli unici con due chitarre a suonare contemporaneamente, dai tempi dei vecchi dischi di Muddy Waters, ma noi eravamo più per gli assoli piuttosto che le ritmiche. Il punto è che devi fare in modo che le cose girino per il verso giusto... io mi prodigavo in questo senso, mentre Jeff se ne veniva fuori all’improvviso con qualcosa di completamente diverso. Il che funzionava finché si trattava di improvvisare... in altri momenti, invece, non funzionava. Noi abbiamo le stesse radici musicali, dunque se ami certe cose, cerchi sempre di mettercele dentro... anche se non c’azzeccano! Ricordo ancora quando pubblicammo il primo disco degli Zeppelin (1969) con dentro il brano You Shook Me di Willie Dixon... ero terrorizzato perché venni a sapere che Jeff lo aveva incluso nell’album Truth (1968) del Jeff Beck Group, e temevo suonassero identici. Allora lui non sapeva di noi e noi di lui.
Beck’s Bolero fu un grande momento, per te e Jeff Beck...
Incidemmo il brano e il produttore scomparve. Non lo vedemmo più... semplicemente, si volatilizzò. Napier Bell lasciò tutto sulle spalle mie e di Jeff. Jeff suonava, io ero in sala regia. E anche se sostiene che fu lui a scrivere quel brano... fui io. Suonai con una chitarra elettrica a 12 corde, mentre Beck si occupò degli interventi con lo slide. L’idea era di costruire un brano attorno al Bolero di Maurice Ravel. e venne fuori un brano intenso, riuscito molto bene. Anche la formazione era niente male: io e Jeff, più Keith Moon alla batteria.
Quella band sarebbe dovuta diventare i Led Zeppelin, giusto?
E’ così. Ma non col nome di Led Zeppelin, quello arrivò dopo. Moon voleva tirarsi fuori dagli Who e così John Entwistle e, quando fu il momento di contattare un cantante, la scelta cadde tra Stevie Winwood e Steve Marriott. Alla fine optammo per Marriott. Lo chiamammo, ma la risposta arrivò dall’ufficio del suo manager, il quale disse che non era disponibile... o comunque qualcosa del genere. Così il gruppo sciolse le fila per via degli impegni di Marriott con gli Small Faces. Avrebbe potuto essere il primo di quei super gruppi alla Cream, invece non accadde nulla... se escludiamo il Bolero. A proposito, al basso c’era John Paul Jones e alle tastiere Nicky Hopkins.
Poi arrivarono i Led Zeppelin. Che chitarre avevi utilizzato per il primo album?
Una Fender Tele. Poi una Les Paul che suonavo già negli Yardbirds in un paio di brani. La Telecaster era un regalo di Jeff. L’avevo ridipinta, tutti allora dipingevano le proprie chitarre, e avevo aggiunto un pezzo di plastica sotto il parapenna così da creare sul palco i riflessi dell’arcobaleno.
Che tipo di sound ricercavi per il primo disco degli Zeppelin?
Era tutta una questione di ambiente... il fatto di sistemare i microfoni. Ero fissato con i microfoni, soprattutto riguardo alla batteria... se li collochi troppo vicino, il drumkit suonerà come una scatola di cartone, cupa e compressa. Distanza equivale a profondità.
Un’altra cosa innovativa fu l’introduzione della Gibson a doppio manico in Led Zeppelin IV (1971)...
Non ho utilizzato la doppio manico in quell’album ma me ne dovetti procurare una dopo aver suonato Stairway To Heaven... Utilizzai diverse chitarre, traccia per traccia: come porre un mattone sull’altro per costruire un muro. Fu l’inizio di un certo modo di impiegare gli strumenti in studio. Ten Years Gone ne è la prova, e così Achilles’ Last Stand. Ricordo che per l’album Presence (1976) feci le sovraincisioni di chitarra in una notte!
Ritieni che su Led Zeppelin IV vi sia il tuo playing migliore?
Senza dubbio... almeno per ciò che concerne consistenza e qualità. Non mi pronuncio sul miglior assolo in assoluto. Dopotutto, mi ritengo più un compositore che altro.
Quando hai usato per la prima volta l’archetto del violino sulla chitarra elettrica?
Con gli Yardbirds. In principio l’idea era che mi dovevo comportare come un musicista classico in studio. Provai ad utilizzare l’archetto sulla chitarra e... funzionò.
Pensi che il tuo playing sia cambiato, passando dalla Telecaster alla Les Paul?
Sicuramente. Suonare con una Telecaster equivale a incrociare i guantoni e fare una sorta di combattimento, anche se le gratificazioni non mancano. Dal canto suo, la Gibson può anche avere un suono stereotipato, ma ha un sustain magnifico... e io amo il sustain perché imparentato con gli strumenti ad arco.
Una volta hai dichiarato che Eric Clapton è colui che sintetizzava alla perfezione il Les Paul sound...
Senza dubbio. Quando era con i Bluesbreakers, lui e la LP erano una combinazione magica. Poi si collegò a un ampli Marshall e... via! Tutto accadde naturalmente. Lui suonava in maniera brillante.
Pensi che il tuo playing sia in continua evoluzione?
Il mio approccio alla chitarra è doppio, quasi da chitarrista schizofrenico. Il mio playing sul palco è completamente diverso da quello in studio. Prendiamo l’album Presence e il mio totale controllo sulla sua realizzazione, il fatto che sia stato inciso in tre settimane e tutto il resto... Sebbene tutto sia filato per il meglio, io ero spesso teso. L’ansia mi corrodeva e prendevo a rimuginare dentro di me cose del tipo “Robert potrà ancora camminare dopo l’incidente di cui è stato vittima in Grecia?” Sul palco è tutto diverso. Poi mi mettevo a pensare che l’assolo in Achilles Last Stand [nell’album Presence] seguiva la tradizione di quello in Stairway To Heaven, che era dello stesso livello, e mi rassicuravo.
Le chicche degli inediti
Led Zeppelin I - Il disco di inediti contiene alcuni brani live registrati il 10 ottobre 1969 all’Olympia di Parigi. 9 brani di cui 7 dell’album, tra cui una mitica versione di 15” di Dazed and Confused, più Heartbreaker e Moby Dick, che sarebbero apparse su Led Zeppelin II.
Led Zeppelin II - Il disco di inediti permette una interessante incursione nelle session di registrazione, con mix alternativi di 5 brani dell’album (tra cui le backing track di Thank You e Living Loving Maid), più l’inedito brano La La.
Led Zeppelin III - Le 9 tracce del disco di inediti offrono uno sguardo sul processo di registrazione della band, con 7 outtakes di brani che sarebbero finiti su III e 3 del tutto inediti: Jennings Farm Blues (strumentale, precursore di Bro-Yr-Aur Stomp), Bathroom Sound (versione strumentale di Out On The Tiles) e la cover dei classici blues Key To The Highway/Trouble In Mind.
Entro la fine dell’anno (il mercato natalizio è sempre appetibile...) dovrebbe essere pubblicato il secondo trittico di uscite (Led Zeppelin IV, Houses Of The Holy, Physical Graffiti). Chissà stavolta cosa estrarrà dal suo cappello magico Mr. Jimmy Page!
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