ALASTAIR GREENE Standing Out Loud

recensione
Parallelamente Greene si fa notare aprendo i concerti per artisti del calibro di John Mayall, Robin Trower, Walter Trout, Fabulous Thunderbirds: dopo alcuni album a suo nome, autoprodotti, che riscuotono il consenso della critica specializzata, la carriera di Greene spicca definitivamente il volo nel 2017 con la pubblicazione dell’album Dream Train (Rip Cat Records) che ottiene la nomination come miglior disco dell’anno dalla storica rivista Down Beat e che scavalla i confini a stelle e strisce.
Registrato a Nashville e co-prodotto da JD Simo che ne ha anche curato gli arrangiamenti nel suo home studio in Texas, Standing Out Loud è l’ undicesimo disco in studio di Alastair Greene: una miscela esplosiva di...
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blues, rock, southern rock, suonati con una energia contagiosa, per 11 tracce che fotografano il musicista in piena forma. Greene è in possesso di un playing ruspante, a suo agio tanto negli assoli quanto, soprattutto, nelle ritmiche poderose, rivelandosi una vera macchina da riff.
A farla da padrona è una Les Paul del 2012 con le camere tonali (... i puristi storceranno il naso) equipaggiata con una coppia di immarcescibili Seymour Duncan (amico fraterno di Greene), per undici tracce che scorrono piacevolmente senza cedimenti di sorta. Notturna ed ipnotica Rusty Dagger è l’unica ballad presente nell’album, impreziosita peraltro dall’assolo di Greene con le classiche ‘poche note ma buone’ e l’utilizzo del vibrato di Montoyana memoria: unica cover Bullfrog Blues dei Canned Heat, per un classico rock&blues introdotto dall’acustica.
Come sempre Ruf Records, etichetta votata alla divulgazione del verbo del blues, non sbaglia un colpo; Standing Out Loud, firmato Alastair Green, è un concentrato di rock, blues e southern che i più appprezzeranno: buona musica, suonata alla vecchia maniera!
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