THE DEAD DAISIES Looking For Trouble

di Patrizia Marinelli
01 maggio 2025

intervista

The Dead Daisies
Michael Devin
Lookin' For Trouble
In uscita il 30 maggio 2025 (Fame/Malaco Records, "Lookin’ For Trouble" è l’omaggio al blues dei Dead Daisies. Proprio così. La band, infatti, abbandona per un momento i territori del power-rock e si avventura tra i classici dei pionieri del blues di cui si sono sempre nutriti: da Muddy Water a Freddy King, da John Lee Hooker a B.B. King, da Rufus Thomas a Howlin’ Wolf, senza dimenticare Robert Johnson e il suo leggendario "Crossroads", che la band ha scelto come primo singolo.

Mentre i Dead Daisies sono ai Fame Studios di Muscle Shoals con Marti Frederiksen per le registrazioni di Light ‘Em Up dello scorso anno, cominciano a jammare per scaldarsi un po’ e, spontaneamente, finiscono per farlo prendendo a prestito alcuni classici del Delta Blues che ben conoscono da sempre. Dopo una jam trascinante in cui è la chimica a dosi massicce a venire fuori, un pensiero si insinua nella band: perché non registrare? Perché non ricordare al loro pubblico il blues e i bluesman della tradizione? E così, in maniera inaspettata, accade, ed il risultato è Lookin’ For Trouble, registrato in parte ai Fame Studios e in parte ai...

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Sienna Studios di Nashville, composto da dieci classici del blues che i Dead Daisies interpretano con la perizia, precisione e potenza che gli sono proprie.

Originario di Boston, classe 1974, Michael Devin imbraccia il basso elettrico assimilando sin da ragazzo il groove pulsante del blues e la solidità del rock. Quando si sposta a Los Angeles il suo nome comincia a farsi notare presto nel circuito del rock ed infatti, via via, suona e registra con Lynch Mob, The Guess Who, Jason Bonham’s Led Zeppelin Experience, Sass Jordan... Ma anche con Kenny Wayne Shepherd, il venerato bluesman della Louisiana.

Nel 2010 Devin fa il suo ingresso nei Whitesnake di David Coverdale e continua con loro per dieci anni registrando Foremore (2011), The Purple Album (2015) e Flesh And Blood (2019), quindi, nel 2023 entra nei The Dead Daisies, ereditando il posto di Glenn Hughes.
Michael Devin ci racconta come è nato Lookin’ For Trouble , l’album con cui i The Dead Daisies omaggiano i maestri del blues.

Ciao Michael, eccoci a parlare di "Lookin’ For Trouble", il tributo al blues firmato The Dead Daisies. È proprio con il blues con cui sei cresciuto, giusto?
Sono cresciuto con il blues che ascoltava mio padre e, in particolare, adoravo John Lee Hooker. Sono nato e cresciuto nel Massachusetts e da quelle parti l’hard rock era di casa, lo ascoltavi alla radio, nei club, ovunque. Sono partito dai Black Sabbath e dai Led Zeppelin, i quali la lezione del blues l’avevano ben assimilata e, di conseguenza, hanno portato anche me in quella direzione. Ho suonato con numerosi artisti blues di gran calibro, su tutti Kenny Wayne Shepherd... un’esperienza fantastica. Ho imparato tantissimo. Kenny mi ha avvicinato davvero al blues.

Quindi, c’è da immaginare che ti sia divertito parecchio a suonare i brani di "Lookin’ For Trouble"...
Sì, è stato grandioso.

Come singolo di presentazione dell’album avete scelto niente di meno che "Crossroads" del leggendario Robert Johnson, c’è un motivo preciso?
Bella domanda, ma onestamente non saprei dirti con precisione... è stata più una scelta del management. Quel che posso dire è che la scelta dei brani della tracklist è avvenuta spontaneamente, così come è stata altrettanto spontanea la chimica che si è instaurata tra noi. Crossroads è stato uno dei primi brani che abbiamo registrato ed essendo un caposaldo del blues, probabilmente è stato scelto come singolo per mettere subito in chiaro la direzione dei Dead Daisies per il disco.

Ci sono brani della tracklist che ti piacciono di più o quelli che ritieni i meglio riusciti?
Se proprio devo citare qualche titolo, allora dico Born Under A Bad Sign di Albert King e Boom Boom di John Lee Hooker. Soprattutto in quest’ultimo, ci siamo buttati a capofitto e il risultato si rifà parecchio al rock blues dei Creedence Clearwater Revival. Un brano molto groovy, ci siamo divertiti parecchio, e con quel feel dei Sessanta che, tra parentesi, io adoro. Anche Black Betty di Lead Belly è riuscito molto bene, per non parlare di The Thrill Is Gone di BB King: la chitarra di Doug Aldrich è spaziale! Walking The Dog di Rufus Thomas e Little Red Rooster di Howlin’ Wolf sono probabilmente i brani che abbiamo mantenuto più simili all’originale. In tutti i casi, non voglio passare per presuntuoso, ma ritengo che tutti i brani siano riusciti al meglio.

Nel disco non c’è Tommy Clufetos dietro ai tamburi, ma Sarah Tomek, ci racconti come è andata?
Tommy [Clufetos], ci tengo a dirlo, è un batterista fantastico, ma in effetti non ha suonato in questo disco e al suo posto c’è Sarah Tomek. Lei ha suonato con Steven Tyler, il suo è un curriculum di tutto rispetto e con noi ha fatto un gran lavoro. Tommy in quel periodo non c’era e noi non avevamo ancora deciso cosa fare, finché qualcuno ci ha presentato Sarah, grandiosa! Al termine delle registrazioni abbiamo iniziato a pensare al tour e abbiamo chiesto a Tommy se fosse stato di nuovo disponibile. Lui ce lo ha confermato e così è di nuovo in squadra.

Com’è andata con l’armonica?
È stata una bella sfida. È uno strumento che adoro e che suono sin da ragazzino. Ogni brano naturalmente ha la sua tonalità, quindi la sfida è stata ricercare e suonare ogni volta un’armonica diversa, ma alla fine sono stato molto contento del risultato. In generale, mi piace portare in un disco tutto quel che sono in grado di offrire.


Parlando di tour, lo scorso marzo avete suonato a Fontaneto d’Agogna (No) e a Padova: cosa ci dici del pubblico italiano
Lo adoro! È un pubblico entusiasta, leale ed appassionato. Ho suonato spesso in Italia nei miei anni con i Whitesnake e negli Steamroller con Doug Aldrich e Brian Tichy che per un po’ è stato il batterista della band. I miei nonni e mia madre hanno origini italiane e per tanti motivi l’Italia è sempre nel mio cuore...

Torniamo ai The Dead Daisies, quali sono i pro e i contro dell’essere un membro di questa celebre power-band?
Allora vuoi che io venga licenziato! [ride] Scherzi a parte, la cosa fantastica è che ci conosciamo tutti da un sacco di anni; siamo una band formata da amici e credo che ciò si rifletta nel nostro modo di suonare, nel nostro interplay. Negli anni sono stato in varie band insieme a Doug [Aldrich], e John [Corabi]... anzi, lui è stato uno dei primissimi musicisti che ho conosciuto quando mi sono trasferito a Los Angeles. Tom [Clufetos] l’ho incontrato qualche anno fa in occasione di qualche jam, poi, nel corso del tour abbiamo avuto modo di conoscerci bene e, oltre ad essere un buon batterista è anche una bravissima persona. E questa è una cosa importante... essere circondati da brave persone, da amici veri, soprattutto quando sei in tour lontano dalla tua famiglia. L’ amicizia è fondamentale nel libro della mia vita! Riguardo a David [Lowy] condividiamo la stessa parte del palcoscenico quindi tra noi c’è una particolare connessione. È un uomo fantastico, intelligente, sveglio. La cosa fantastica, mi piace ribadirlo, è che tutti andiamo d’accordo: l’atmosfera interna è leggera e pulita e dal palco si riversa sul pubblico che ci ascolta. Per rispondere alla seconda parte della domanda, di lati negativi non ce ne vedo proprio...

Sei entrato nei The Dead Daisies nel 2023 ereditando il posto di Glenn Hughes: cosa hai provato suonando con la band la prima volta?
C’è stato un feeling incredibile, mi sono trovato a casa! Allora c’era Brian Tichy alla batteria e per anni, per decadi devo dire, siamo stati una sezione ritmica in numerosi contesti, e c’era anche Doug [Aldrich] e siamo molto affiatati e in grande sintonia. Noi tre suoniamo insieme da così tanto tempo che basta uno sguardo per intenderci al volo; una cosa che ha un gran valore e che acquisisci soltanto negli anni. Come dicevo, conosco John [Corabi] da un sacco di tempo e con lui mi trovo decisamente a mio agio. L’unico che non conoscevo era David [Lowy] ma abbiamo rodato in fretta. Insomma, è filato via tutto liscio sin dal primo momento in cui sono entrato nella band.

Per circa 10 anni sei stato nei Whitesnake, cosa ti ha lasciato questa esperienza sotto il profilo di musicista e personale?
Essere un componente dei Whitesnake ha cambiato la mia vita in tanti sensi e di questo sono immensamente grato. È stato un grande passo in avanti. All’epoca suonavo con i Led Zeppelin Experience di Jason Bonham e la cosa mi ha portato a suonare poi con David Coverdale nei Whitesnake. Inoltre, Brian [Tichy] era alla batteria quando sono entrato nella band. E’ stato un periodo entusiasmante! Ho suonato in giro per il mondo, cosa che a me non era mai successa prima. Poi, tutte le tipiche situazioni che sperimenti quando ti ritrovi un una band famosa, quelle su cui fantastichi quando sei un ragazzino, tipo rilasciare interviste alle riviste rock, girare video, suonare in jam private, viaggiare in un tour bus, essere headliner nelle arene e nei festival enormi con migliaia di persone davanti. Registrare album grandiosi, dvd live… Tutte queste cose sono entrate nella mia vita con David [Coverdale]. Mi sento molto fortunato e oltretutto lui si è rivelato un grande amico e un mentore. Tante cose ci accomunano, entrambi siamo fan della British Invasion, del pop dei Beatles e dei The Freaks, del blues, del funky e del soul; entrambi amiamo gli stessi film e gli stessi libri. Per me godere della sua amicizia è stato il grande regalo del rock’n’roll, e anche di quella di Reb Beach, uno dei miei migliori amici per non dire il mio miglior amico. L’ho conosciuto proprio grazie ai Whitesnake ed abbiamo condiviso la stessa parte del palcoscenico per anni. Ripenso anche ai momenti in cui ho suonato con Tommy [Aldridge]. Quando ero un ragazzino lui per me era il Dio della batteria, quindi, ritrovarmi all’improvviso con lui nella band è stata una cosa surreale! Tommy è un batterista straordinario, un vero fenomeno della natura, un tipo incredibile. Mi sono trovato benissimo anche con Michele Lupi, il tastierista e poi è arrivato John [Corabi]. Una lineup da favola! Erano bei tempi e tutti eravamo contenti. Abbiamo fatto dei bei dischi e grandi tour. Quei dieci anni con i Whitesnake, sono stati straordinari!

Torniamo a "Lookin’ For Trouble", che genere di equipment hai utilizzato per le registrazioni?
Ho usato in prevalenza il mio Nash JB a quattro corde. Testata Ampeg SVT-II e preamp Darkglass Alpha Omega. Corde Rotosound Jazz Bass 77 LD Flatwound (045-105). Come ti dicevo, ho suonato anche l’armonica, quindi ho utilizzato la Hohner Special 20 nelle diverse tonalità.

Chiudiamo con una domanda di rito, Michael. Chi erano i tuoi bassisti di riferimento quando eri un teenager?
Le mie influenze sono state varie e, come accade quando sei giovane, gli input me li hanno forniti tante cose: il rock, i ragazzi più grandi che suonano in città, ma anche il cinema e la lettura di certi libri, biografie e interviste. Il mio insegnante di basso è stato una grande ispirazione, mentre in quanto ai bassisti direi che la mia più grande influenza è stata John Paul Jones dei Led Zeppelin, subito seguito da James Jamerson che ascoltavo nei dischi della Motown Records, Paul McCartney, John Entwistle, Sting... Tuttavia, il bassista che mi ha proprio portato a imbracciare il basso e a pensare di suonare in una band, è stato Jack Bruce con i Cream. Secondo me lui è stato il più grande bassista della storia del rock. In quanto al bassista per eccellenza, naturalmente adoro Jaco Pastorius. Al di là del basso elettrico, ci anche altri musicisti che hanno significato molto per me: ad esempio, Jimmy Page (Led Zeppelin), Joe Perry (Aerosmith) e Angus Young... ero un fan sfegatato degli AC/DC!

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