CRADLE OF FILTH The Screaming Of The Valkyries

intervista
Band tra le più venerate, influenti e controverse del metal estremo, i Cradle Of Filth (COF) sono tornati il 21 marzo 2025 con The Screaming Of The Valkyries (Napalm Records), un album intenzionato a consolidare il loro credo musicale. I tipici scream e growl di Dani Filth, mastermind della band sin dal 1991, si impongono con forza, intrecciandosi saldamente ai riff delle twin guitars che urlano con potenza, sostenuti da una sezione ritmica che marca il timing aggiungendo ottani al carburante: tutto e tutti a piena immersione nelle acque più profonde, là dove gli arrangiamenti solenni e sinfonici sono studiati per esaltare suoni e habitat che più cupi e dark è difficile immaginare.
L’album parte col boato di To Live Deliciously , subito seguito da Demagoguery con la sua mescola fatta di fascino oscuro, blast beat e quel killer groove di cui i COF sono maestri. Lungo la tracklist ben si palesano le influenze di classici della band...
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del passato (come Dusk… And Her Embrace , 1996 e Cruelty And The Beast , 1998) ma c’è posto anche per le atmosfere galoppanti più recenti (come Hammer Of The Witches , 2015 ed Existence Is Futile , 2021) e per i richiami al metal delle origini, che ben si fondono con un death ‘n’ roll sfacciato e travolgente.
Non Omnis Moriar (“Non morirò del tutto”) è forse uno dei brani più malinconici dei COF, mentre White Hellebore , quinto brano della tracklist, rappresenta la band nella loro essenza: diretto, oscuro e cattivo, vola sulle ali dell’heavy metal della tradizione, della furia del thrash e dei momenti di gotico operistico, senza perdere mai quota.
Infine, arrivano You Are My Nautilus e Ex Sanguine Draculae : il primo, solenne e epico, col duello delle chitarre elettriche che poggia sul terreno reso solido dalla sezione ritmica pulsante, ed il secondo che, pur ereditando certi umori dei COF degli esordi, si inzuppa di suoni e colori nuovi e intriganti.
Melodie malinconiche, epiche, thrash oscuro, follia e un’apocalittica angoscia esistenziale: The Screaming Of The Valkyries, il nuovo album dei COF, apre le porte del loro cupo universo sonoro e si posiziona nella Top 15 degli album fisici più venduti in Italia.[Registrazioni, mixing e mastering: Scott Atkins, presso i Grindstone Studios, UK]
Abbiamo incontrato Marek “Ashok” Smerda{ } e{ } Donny Burbage{ } e quello che segue è il resoconto della nostra piacevole chiacchierata.
Ciao ragazzi, come state? Siamo molto felici di incontrarvi insieme.
ASHOK – Molto bene grazie, è un piacere essere qui.
DONNY – Benissimo direi. Aspettate un attimo che metto via questa chitarra, ho finito da poco una lezione...
... non ci dici che chitarra è?!
DONNY – E’ una Ibanez RGT neck-thru, credo sia del 2023. Mi piace molto questo genere di chitarre: efficienti e non costano una fortuna, tipo 1400/1600 dollari. E’ una delle chitarre che uso con i Cradle ed è la mia preferita con il ponte fisso anche se, come Ashok del resto, sono un grande fan della leva. Vengo dalla vecchia scuola degli shredder che la usavano proprio come mezzo espressivo. Sono un grande fan di Mattias Eklundh, quindi anche io ho parecchie chitarre con la leva. A proposito di Ibanez con la leva, ho una RGT ed una Prestige e due sette corde che però con i Cradle non utilizzo.
Sicuramente avremo modo di approfondire il tema. Ma iniziamo dal nuovo "The Screaming Of The Valkyries", un album che sfodera l’habitat cupo e profondo dei Cradle Of Filth e al contempo svisate e suoni freschi: che ne dite?
ASHOK – Sono entrato nella band nel 2014 e posso confermare che c’è molto di nuovo in quanto a suoni e input, in questo album. Donny è con noi dal 2022 e ritengo che il suo arrivo sia stato e sia fondamentale in tal senso.
DONNY – È decisamente interessante scrivere i brani assieme ad Ashok: io sono un grande fan dei Cradle old-school, mentre lui ha più esperienza di me nella composizione del materiale più recente della band. Quindi sì, i nostri input si amalgamano. All’inizio ci era stata data un’indicazione che ci aveva fatto sorridere: “Vogliamo qualcosa che sia vecchio ma anche nuovo”. Sì, fa sorridere, eppure credo che siamo riusciti a concretizzare quell’idea.
ASHOK – Gli ultimi tre album, per quanto li ritenga ottimi album, avevano tirato fuori la necessità di uscire un po’ dalla cosiddetta comfort zone. E i nuovi membri dei Cradle - mia moglie Zoe e Donnie – hanno portato una ventata di aria fresca e sicuramente contribuito a smarcare la band da quella posizione.
Un brano come You Are My Nautilus, a tutti gli effetti una ballad, rivela il risultato di queste nuove commistioni...
ASHOK – Sono d’accordo. E il bello è che la band mantiene sempre il Cradle-sound che i fan conoscono, quello che ci appartiene. Concentrandomi parecchio su come le sezioni di un brano, gli accordi, le tonalità, interagiscono tra loro, ho notato che l’approccio è differente rispetto a quanto avveniva nei Cradle della prima maniera, ma la matrice del suono resta.
DONNY – Sono semplicemente approcci diversi e credo che in generale un brano sia un po’ la somma degli elementi che concorrono alla sua composizione e la fotografia di una precisa epoca, e il bello accade quando è l’identità, l’impriting di una band a venire fuori.
Vi capita mai di pensare all’ipotesi del mancato gradimento di un album dei Cradle Of Filth?
DONNY – Io ci penso di continuo e in quel caso, essendo l’ultimo arrivato, potrei essere il primo a finire sotto accusa! [ride] Allo stesso tempo però, lasciatemi dire che dovrebbe essere la band ad essere soddisfatta di un album. Se poi non piace… beh, vorrà dire ci saranno state giornate peggiori!
ASHOK – Non ci ho mai pensato granché, ma a questo punto forse dovrei! [ride] Ho scritto brani per altre band prima e non mi sono mai preoccupato troppo di come venissero recepiti. Ad ogni modo, ammetto che quando sono entrato nei Cradle anch’io mi sono ritrovato a pensare: “se questa cosa non funziona, tutti daranno la colpa a me...” Negli anni quella sensazione è svanita e oggi credo fermamente che ragionare troppo su questi aspetti equivalga al suicidio artistico di una band o comunque di un artista.
Detto ciò, avevate degli obiettivi specifici quando avete iniziato a lavorare sul nuovo album?
ASHOK – Il mio background è fatto di melodeth e tech metal e quel tipo di riff molto tecnici, di costruzione di una certa struttura e di certe sonorità, mi piacciono davvero. Nei Cradle però tutto questo non ci sta, l’identità della band va rispettata e strafare non è mai positivo. Detto ciò, penso che un brano debba girare e funzionare e allo scopo mi sono ritrovato ad alleggerire alcuni interventi.
DONNY – La penso allo stesso modo. Oltretutto, abbiamo avuto la guida del nostro produttore, Scott Atkins. Arrivava sempre con ottimi suggerimenti e abbiamo cambiato alcune cose rispetto alle demo che avevamo preparato, perché quando entri in studio, registri le batterie e gli altri strumenti, ti rendi conto che il risultato è diverso. A quel punto devi cambiare delle cose e, spesso, devi togliere.
ASHOK – Per esempio, alla fine di To Live Deliciously c’è un assolo che inizia con una parte fenomenale, la mia preferita, suonata proprio da Donny. Subito dopo entro io con il secondo assolo che, inizialmente, era molto diverso. Ma sai, in certi momenti devi essere disposto a mettere da parte un po’ del tuo ego per arrivare al miglior risultato possibile, poiché alla fine, suonare per il brano è molto più importante che suonare per sé stessi.
E sul piano tecnico come sono andate le registrazioni? Che tipo di strumentazione avete utilizzato per questo album?
DONNY – Il processo, che credo simile a quello di molte band al giorno d’oggi, è il re-amping. Quindi iniziamo scegliendo il suono di alcuni ampli disponibili in studio. Di solito partiamo da un 5150, magari da qualche Marshall, ma registriamo sempre anche le tracce dry, pulite. E poi le ri-amplifichiamo. Facciamo proprio un re-amp, alla vecchia maniera. Tipo: re-amp vero, con testata e cassa, suonato a volumi altissimi. Onestamente credo che nessuno di noi conosca le specifiche tecniche precise utilizzate per questo album: se n’è occupato Scott [Atkins] e abbiamo lasciato che fosse lui a scegliere per noi.
Abbiamo chiesto della strumentazione utilizzata poiché avete parlato di quanto sia importante mettere da parte l’ego per lasciare che sia il brano a parlare. La domanda quindi è questa: esiste una situazione in cui gli strumenti, gli amplificatori o gli effetti, possano impedire in qualche modo l’espressione di un chitarrista?
DONNY – Senza ombra di dubbio. Quando butto giù un’idea, passo più tempo sul suono del rullante che non a pensare alla struttura del brano. È assurdo, ma è così. E questo uccide la creatività del momento. Avere tutti gli strumenti a portata di mano è fantastico, ma è anche un’arma a doppio taglio. Anche parlando del suono della chitarra nello specifico: ci sono suoni che fanno balzare fuori le note suonate ma poi, aggiungi il resto e tutto diventa una poltiglia indescrivibile. Viceversa, ci sono dei suoni che sembrano secchi mentre suoni ma che invece, una volta ascoltati nel mix, suonano bene. Per questo motivo penso che la differenza tra il tracking e la fase di mix sia fondamentale: quando registri, ti serve un suono che ti ispiri a suonare bene, che ti faccia sentire tutto con precisione. Ma quando arrivi al mix, può capitare di dover ri-amplificare tutto per adattarlo al contesto. E nei Cradle c’è tantissimo in ballo: è un incubo mixare. Devi fare delle scelte, sacrificare qualcosa per far spazio a tutto il resto, e a volte quel qualcosa è proprio il suono di chitarra. Fa parte del gioco. È così.
Ashok questa domanda è per te, visto che ormai sei un veterano della band. Dopo quasi 12 anni con i Cradle Of Filth, credi che ci siano aspetti del tuo playing che sono cambiati?
ASHOK – Come abbiamo detto, i Cradle sono una band che ha un suono e un vibe da rispettare. In questo senso io sono un po’ un nerd. Mi metto a trascrivere i vecchi brani, forse sono anche un po’ troppo analitico, ma mi piace suonare ogni parte esattamente come è stata registrata negli album. Purtroppo, alcune lineup precedenti non si sono preoccupate più di tanto dei dettagli e ci sono persino, e lo dico senza problemi, errori anche piuttosto evidenti in alcune live performance del passato. Viceversa, io ci vado in profondità e studio. E proprio per questo motivo ho grande rispetto per i dischi del passato. Quindi sì, tutto questo ha cambiato il mio modo di suonare. Entrare nei Cradle mi ha cambiato, assolutamente. Ora per me conta avere un gran suono, suonare le note e le parti giuste, offrire interventi solidi e, naturalmente, ascoltare gli altri… fare un ottimo gioco di squadra, insomma. E devo dire che, se penso ad alcune performance live del passato, o anche a certe registrazioni, mi pare proprio che i chitarristi che mi hanno preceduto non dialogassero. Non lo dico per mancare di rispetto a nessuno, è semplicemente un dato di fatto. Io sono molto severo con me stesso, e anche un po’ con gli altri, lo ammetto, ma visto che ora contribuisco alla composizione dei brani, voglio essere sicuro di mettere il massimo di me stesso. Credo che alla fine sia una situazione in cui vincono tutti, la band ha dato qualcosa a me, e ritengo sia mio dovere dare qualcosa alla band.
Tu come la vedi, Donny?
DONNY – Quando ho iniziato a suonare con i Cradle Of Filth, la prima cosa è stata la differenza tra il loro setup e il mio. Di solito suono con chitarre a sette corde, ma con loro mi sono ritrovato con una sei corde tra le mani. La prima impressione? Mi sembrava mancasse qualcosa, ma subito dopo mi sono reso conto di quanto fossi più veloce sulla tastiera. La minor tensione delle corde e la distanza ridotta tra le note mi permettono infatti di essere più fluido e veloce nei passaggi più tecnici. Dal punto di vista degli assoli l’approccio è completamente diverso rispetto agli altri contesti in cui avevo suonato. Con i Cradle, non mi preoccupo di colpire una nota “fuori” purché quella nota trasmetta un feel oscuro, inquietante o aggressivo. L’atmosfera generale lo consente, anzi, lo esige. È proprio quel senso di dissonanze e ambiguità a creare la tensione che caratterizza i Cradle. Anche il mio modo di scrivere è cambiato molto: lavorare con la band e con Ashok in particolare, mi ha insegnato a pensare fuori dagli schemi, anche sul piano armonico. Non ho più timore a cambiare tonalità tra una sezione e l’altra di un brano. All’inizio, questo tipo di libertà ti può disorientare, ma se entri nella natura ‘frammentata’ del linguaggio dei Cradle, diventa uno strumento creativo potentissimo. In termini di esecuzione, ricerco il massimo della pulizia, è una priorità per me, anche in mezzo alla complessità e alla brutalità del repertorio. Suonare dal vivo è una vera sfida: sempre sotto stress, con mille variabili che ti possono sfuggire. Se potessimo registrare uno show seduti in studio, verrebbero fuori esecuzioni micidiali, ma il palco è un’altra cosa: lì devi dominare mille cose e tirar fuori qualcosa di convincente.
In effetti quando si passa dal suonare seduti al dover suonare in piedi, e poi su un palcoscenico, oltretutto come quello dei Cradle, le cose cambiano molto...
DONNY – Esattamente. Puoi avere il riff più figo del mondo, ma se non sai suonarlo stando in piedi, non serve a niente.
ASHOK – Hai toccato un punto importante, davvero. Mi è capitato di comporre dei riff incredibili suonando da seduto in studio, ma poi, arrivato il momento di suonarli sul palco, la situazione è cambiata drasticamente. Ti faccio un esempio concreto: Crawlineg King Chaos . Il riff principale, che poi è anche il riff portante del brano, l’ho creato proprio suonando da seduto, in studio. All’inizio non era affatto confortevole, visti gli stretch della mano sinistra così estremi che quasi mi pareva di vederci storto, ma poi sono riuscito a trovare una diteggiatura alternativa, più gestibile. Il problema vero è arrivato quando ho dovuto suonarlo in piedi, realizzando che quella diteggiatura non funzionava più. È in quei casi che capisci quanto sia diverso il tuo playing stando in studio o sul palco. Non basta quindi che un riff sia ben riuscito: deve anche essere suonabile stando in piedi sul palco, con la chitarra a tracolla e magari un monitor che ti spara nelle orecchie. Ecco allora che oggi, quando scrivo un riff, un fraseggio, lo provo anche in piedi per evitare sorprese poi. Viceversa, se non li testi in condizioni reali, ti fregano!
Quindi ora vi preparerete per i nuovi concerti? Seguite una routine in questi casi?
ASHOK – Siamo sparsi in diverse parti del mondo, quindi ognuno si sta preparando da casa, studiando i brani e suonando con le backing track. Naturalmente stiamo inserendo in scaletta anche qualche brano del repertorio che non suoniamo da molto tempo. Prima del tour, che inizierà negli Stati Uniti, faremo le prove generali con tutta la band e lo staff tecnico al completo. Sarà l’occasione per verificare tutto il setup e naturalmente per suonare i brani insieme.
DONNY – Siamo tutti amici e sarà una sorta di festa, l’occasione per vederci e stare insieme. Quei momenti di condivisione sono la parte più bella di tutto quanto e penso che ciò influenzi tantissimo la nostra interazione sul palco. Fa davvero la differenza...
Passerete anche dall’Italia con il nuovo tour, e il 20 luglio 2025 sarete gli headliner del Luppolo Rock Fest, siete gasati?
ASHOK – Onestamente non vediamo l’ora di incontrare di nuovo i fan italiani. Siete un Paese davvero speciale! Quindi, se avrete voglia di bervi una birra con noi, sapete dove trovarci...
È stato un vero piacere. A presto ragazzi!
ASHOK – Grazie di tutto!
DONNY – Bella chiacchierata, grazie davvero.
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