Martin Popoff, "Whitesnake"
recensione
La pelle del Serpente Bianco è cambiata più volte: non per inseguire i trend del mercato, ma semplicemente per soddisfare le velleità artistiche e la sensibilità di un rocker di razza quale è Mr. David Coverdale. Un vero e proprio valore aggiunto, se ci riflettiamo, perché ogni volta, la sua, è stata una mossa giusta per centrare l‘ennesimo successo.
Non si può certo tacciare di opportunismo una band che, nella seconda metà degli anni ’70, dettò le regole dell’hard blues, quando andava di moda tutt’altro genere (punk of course…): una band costituita da una lineup stellare, frutto delle scelte certosine del mitico leader, ormai fuori dall‘ombra dei due leggendari Ritchie Blackmore e Glenn Hughes. Le chitarre incendiarie di Mick Moody e Bernie Marsden, un caposcuola del basso come Neil Murray, col supporto degli Deep Purple Ian Paice e Jon Lord, avevano dato alla luce una serie di episodi in grado di rivaleggiare per celebrità con quelli sfornati allora contemporaneamente dai Rainbow...
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con il loro Man In Black…
Poi ci fu la svolta americana e conseguente consacrazione dei Whitesnake con un album come 1987 (otto volte disco di platino negli Stati Uniti), con Mr Coverdale di nuovo accompagnato da un pool di musicisti stellari, tra i quali, in ordine sparso, i chitarristi Steve Vai, John Sykes, Adrian Vandenberg (prima) e Doug Aldrich, Reb Beach (poi), i batteristi Cozy Powell, Tommy Aldridge ed il basso di Rudy Sarzo… Una macchina perfetta che, grazie a una costante e adeguata revisione, è sempre riuscita a porsi al top affascinando gli appassionati di tutto il mondo. (Oggi, peraltro, con l’intervento alle tastiere dell’italianissimo Michele Luppi, già vocalist della band di Maurizio Solieri, degli eccellenti Secret Sphere ed ex Vision Divine).
Martin Popoff, l’autore del libro in questione (titolo completo, Whitesnake, il viaggio del Serpente Bianco) è stato definito “il giornalista heavy metal più famoso del mondo…”, avendo all’attivo collaborazioni con riviste come Revolver, Guitar World e Record Collector, nonché una nutrita serie di libri (circa cinquanta) e la realizzazione di un bel po’ di documentari. Frutto di un incredibile lavoro di ricerca, forte di testimonianze raccolte di prima mano dalla voce dei diretti interessati (Coverdale compreso), il libro fa luce su una delle epopee più avvincenti della storia del rock. Un plauso all’editore che, con questo volume, regala ai fan del Serpente Bianco una versione in lingua italiana da non lasciarsi sfuggire…
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