PROMISED LAND OR BUST Moreland & Arbuckle
recensione
Fieri portavoce di un sempre più inarrestabile gritty blues and roots rock from the heartland, così come sono soliti definire il loro genere, i Moreland & Arbuckle - assieme al batterista Kendall Newby - hanno recentemente dato alle stampe il nuovo lavoro Promised Land Or Bust, il primo ad essere prodotto dalla Alligator Records di Chicago e forse quello che - ancor più delle precedenti prove in studio - sembra tratteggiarne appieno identità, suono e coordinate artistiche.
La band, attiva ormai dal lontano 2005, è pronta e scalpitante per il fatidico grande salto. La formula voce-armonica-chitarra-batteria funziona, le canzoni anche e in generale tutto l’album scivola via con fluida agilità attraverso riff, stacchi e una potenza tale...
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da ricordare Black Keys, White Stripes, ZZTop e addirittura i mitici Cactus di Rusty Day e Jim McCarty. Se album come 1861, Flood e il più recente 7 Cities avevano posto basi già molto solide per i tre ragazzi di Wichita, Promised Land Or Bust aggiunge ulteriore lustro e compattezza ad un combo che non teme rivali nel suo settore e che, indubbiamente, se non dal punto di vista dell’innovazione o della varietà, in quanto a schiettezza, sincerità e qualità della proposta sa come esaltare e far vibrare il suo pubblico.
Pezzi come Mean and Evil, Long Did I Hide It, la cover I’m A King Bee di Slim Harpo trasudano groove; sono divertenti, incalzanti, dissetano come un cocktail di sole, brezza fresca ed energia. Consigliato a chi ama i suoni grassi e corposi, la sacra triade Gibson Les Paul-cigar box-slide, le voci graffianti e l’armonica di Little Walter, Junior Wells, Andy J. Forest.
Perfetto per i lunghi tragitti in auto con i finestrini abbassati e le casse a tutto volume. Selezionate When The Lights Are Burning Low e schiacciate Play. Il resto verrà da sè… buon viaggio!
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