BEN HARPER Bloodline Maintenance
recensione
Da notare come, sulla scia del precedente Winter Is For Lovers , anche in questo caso l’album sia accreditato al solo Harper. Nessun accenno ai fidati...
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Innocent Criminals o ad altri fedeli compagni di studio e tour. Si tratta infatti di un viaggio in solitaria che denota un nuovo passo in avanti nella ricerca personale (e artistica) condotta dal songwriter di Pomona, il quale - nelle 11 tracce presenti - suona quasi tutto da solo (chitarre, basso, batteria, ecc.) avvalendosi di tanto in tanto delle percussioni di Leon Mobley, dei fiati di Geoff Burke o delle voci di Chavonne Stewart , De’Ante Duckett e Alethea Mills. Era già successo in passato, ma - ora più che mai - questo aspetto appare evidente anche dalle scelte di missaggio. Si ha da subito infatti la sensazione che il sound - in più momenti - non sia quello di una band “catturata” in presa diretta: si avverte una sorta di scollamento, come se i brani scorressero fluidi ma al tempo stesso sembrassero appositamente assemblati ad hoc. La conferma arriva dai credits, che mostrano come Harper appunto abbia optato per incidere tutto, o quasi, in autonomia, partendo dalle quattro corde del basso.
Detto ciò, a rendere l’ascolto di Bloodline Maintenance estremamente piacevole, sono le canzoni che - ancora una volta - risultano accattivanti, ben costruite, profonde per quel che concerne le tematiche (in primis, schiavitù e razzismo). Below Sea Level, l’iniziale traccia a cappella, vale da sola l’intero album ed è forse la canzone più emozionante in scaletta. La grintosa We Need To Talk About It e la solare Need To Know Basis sono esercizi di stile realizzati in maniera ineccepibile, ma non aggiungono nulla a quanto di buono ci si possa ancora aspettare da Ben Harper. D’altronde, come testimonia la foto di copertina, la sensazione generale che emerge dall’ascolto dell’album è quella di un costante - e urgente - ritorno al passato, alle origini, agli affetti più cari. Musicali e non.
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