JOANNE SHAW TAYLOR Nobody’s fool
recensione
White Sugar (2009) è il disco d’esordio della giovane Taylor (classe 1985), seguito negli anni da una manciata di ulteriori album, da una statura artistica che via via cresce e matura (si aggiudica il British Blues Award 2010), dalla stima di blasonati colleghi (Stevie Wonder su tutti), e dal riscontro di un pubblico tanto entusiasta da rendere soldout ogni suo show.
Nel 2021 la Taylor pubblica The Blues Album (prodotto niente di meno che da Joe Bonamassa) aggiudicandosi copiosi plausi, premi e riconoscimenti. Fra le tracce vi è Can’t You See What You’re Doing To Me ed il video che viene girato per la promozione, sfodera addirittura la presenza di Kenny Wayne Shepherd; ormai la Taylor rappresenta una delle solide realtà del firmamento del blues contemporaneo. Nobody’s Fool (2022) è l’ultimo capitolo discografico della Taylor, registrato ai Sunset Sound di Los Angeles e di nuovo con Bonamassa...
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in cabina di regia.
Nono album per la bionda chitarrista/cantante britannica, Nobody's Fool è anche il titolo della traccia di apertura, un gradevole shuffle blues con una linea melodica cantabile ed il classico fat-guitar-tone della stessa Taylor. Bad Blood sembra uscire direttamente dalla colonna sonora di “Pulp Fiction”, con l’immancabile effetto tremolo ed un sound decisamente contemporaneo, mentre New Love è impreziosito da una sezione fiati a dir poco pulsante: il brano più ispirato della tracklist, che catapulta l’ascoltatore in piena epoca Motown; stupendo e viscerale l’assolo della Taylor, gusto da vendere ed un vibrato da far tremare i polsi.
Non mancano episodi di matrice più smaccatamente pop, come Won’t Be Fooled Again, un tuffo negli anni Ottanta, sia a livello di sound che sotto l’aspetto melodico, che fa un po' il verso all’ultimo di John Mayer. Decisamente toccante, infine, Fade Away, la ballad più riuscita dell’album, con tanto di archi che arricchiscono la linea melodica senza appesantirne il tessuto armonico.
Probabilmente Nobody’s Fool non tocca i vertici compositivi del predecessore (The Blues Album) ma resta di fatto un buon album, sia riguardo all’aspetto compositivo, sia riguardo alla ricerca del sound: un album che rivela la maturità compositiva raggiunta dalla Taylor, a suo agio anche nei brani non necessariamente di matrice blues. Segno di una indiscussa versatilità.
Due parole riguardo al gear utilizzato dalla Taylor per questo album: una Esquire del 1966 (acquistata a Londra nell’iconica Denmark Street, alla quale è stato aggiunto un Fender Jazz HB al manico) la fa da padrona, alternata ad una Fender Telecaster Albert Collins (la versione con i Wide Range): scelte certamente non convenzionali rispetto alle più classiche adottate dal blues. Tre pedali
completano l’arsenale della Taylor: due Ibanez TS9 vintage utilizzati in cascata, ed un ElectroHarmonix Holy Grail Reverb.
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