HOWLIN RAIN "The Dharma Wheel"

recensione
Influenze, testi, canzoni e veste grafica degli Howlin Rain non lasciano dubbi: si tratta del caleidoscopico universo inaugurato dai Grateful Dead più di 50 anni or sono, ma ancora adesso vitale, ben lungi dal suonare sorpassato.
La band di Ethan Miller torna in scena con il nuovo, esplosivo "The Dharma Wheel" e - a distanza di tre anni dal riuscitissimo "The Alligator Bride" (2018) - dimostra di voler ancora cavalcare l’onda di un’ispirazione tanto copiosa quanto ricca di rock, blues, folk, psichedelia.
Gli ingredienti restano immutati: pochi brani (tutti piuttosto lunghi), assoli incendiari, arditi intrecci strumentali, ritornelli di facile presa sull’ascoltatore, costruzioni armoniche complesse, grinta ed energia da vendere.
Basterebbero appunto i suddetti ingredienti per acquistare a scatola chiusa "The Dharma Wheel": un disco che, va sottolineato, non aggiunge nulla di originale al marchio di fabbrica del gruppo californiano, ma al...
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tempo stesso ne rafforza gli schemi e ne suggella una volta per tutte le doti compositive.
Questo aspetto risulta evidente sin dalle battute iniziali, affidate ad una ouverture affascinante, satura, a tratti barocca; il biglietto da visita perfetto, il classico manifesto programmatico. Un preludio - non a caso il titolo è appunto "Prelude" - perché l’ascoltatore possa porsi nella giusta ottica e godere appieno dell’album da capo a fondo. Superata questa parte introduttiva, infatti, si ha la sensazione di essere calati all’interno di una vortice di suoni e distorsioni i cui brani - sei tracce spalmate in 52 minuti di musica senza confini - paiono inscindibili, intrinsecamente legati gli uni agli altri.
"The Dharma Wheel" è come un flusso impetuoso; il classico album in studio curato in ogni dettaglio, uno di quelli privi di singoli scala-classifiche o brani scritti appositamente per il circuito mainstream, ma pieno di gusto, idee, e con ospiti di caratura internazionale (Scarlet Rivera al violino e Adam MacDougall alle tastiere).
Dopo anni di sperimentazioni, Ethan Miller sembra aver finalmente trovato la sua dimensione ideale: dalla voce, al guitar playing, al look. Il barbuto leader degli Howlin Rain si pone con sicurezza al comando di una nave e di un filone (il jam rock di matrice statunitense) con l’esperienza e la faccia tosta di chi sa che costanza, impegno e sudore portano prima o poi a risultati encomiabili.
"Don’t Let The Tears", "Under The Wheels", "Rotoscope", "Annabelle" e la title track non faranno altro che ribadire quanto scritto fin qui: ovvero che, in ormai quasi 20 anni di attività, gli Howlin Rain possono essere annoverati sullo stesso piano dei nomi più illustri del panorama d’oltreoceano. Se non addirittura ambire - come recita il comunicato ufficiale relativo a The Dharma Wheel - al titolo di “quintessential indipendent American rock ’n roll band”. Che sia proprio così?
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