AMOS LEE Spirit
recensione
Amos Lee è una delle voci più inebrianti e comunicative che si possano trovare, uno dei pochi capaci d’incarnare bene il senso del termine “cantautore”, parola fin troppo spesso utilizzata a sproposito e, ancor prima, coniata con finalità travisate.
Dopo Mountains Of Sorrow, Rivers Of Song (2013) era lecito non sapere bene cosa aspettarsi dalla nuova attesissima fatica dell’autore di Philadelphia, ma non appena premuto il tasto play su Spirit appare chiaro come, ovviamente con soluzioni rinnovate, la cura, la perizia e la raffinatezza compositiva siano ancora più che mai presenti così come lo erano nei precedenti episodi.
Ciò che da sempre coinvolge della musica firmata da Amos Lee è l’indubbio senso di piacevole godimento auditivo dato dal perpetuo rinnovarsi e rimescolarsi di scelte sonore che appartengono ad una schiera di musicisti ormai in via d’estinzione. Spirit, così come gli altri album di Amos Lee, è un piatto da gustare con estrema calma e con la dedizione sensoriale che il miglior chef...
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richiede sottoponendo le proprie creazioni.
È un’anima ricca e travolgente quella che muove un album che riesce a mescolare blues (New Love), funk (Lost Child), folk (With You), e sentori di ritmi hip hop (Vaporize), condendo il tutto con derivazioni spiritual e soul (Running Out Of Time su tutte). La produzione del disco è di quelle che riscaldano il cuore e migliorano le giornate, avvolgendo in trame premurosamente cucite per essere vellutate, ma sempre di grande impatto.
La verità è una sola: questo Spirit è tutto ciò che si potrebbe volere da un buon disco, al punto da potersi quasi azzardare a dire che la perfezione non è lontana da quello che Amos Lee sta portando avanti con un percorso artistico che ha più di un motivo per reclamare sempre maggiore attenzione.
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