CANDY Heaven Is Here

recensione
Hardcore e metal si mescolano senza timore allo shoegaze, finendo per sfociare in qualcosa che ricorda dei Deafheaven con una certa predilezione per il black metal, per il punk e per una velocità di provenienza thrash.
Di fronte alla richiesta di confermare quanto buono fatto con il primo lavoro, il nuovo Heaven is Here calca la mano su quelle tematiche che per una band metal, sembrano un rito di passaggio obbligato (ed a tratti propiziatorio).
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La repulsione più schietta per un’umanità paragonabile ad una colonia di parassiti, fa - infatti - da narrazione portante per lo screaming torturato di Zak Quiram.
Alla demistificazione degli inganni più putridi firmati dalla razza umana si piegano dieci tracce che spesso suonano come una meticolosa trasposizione in musica della sfera emotiva ansiogena. Le chitarre deturpate, mutilate, e poi spedite nell’etere da Andrew Stark, si scontrano con i beat febbricitanti di Steve DiGenio. I Candy pescano spesso dalla storia musicale della Bay Area, e brani come Hysteric Bliss , Price of Utopia oppure World of Shit ne sono un’ottima testimonianza. Ogni suono dell’album però, alla serratezza del thrash, contrappone suoni spalmatoi e sospinti nell’ambiente sonoro in maniera da creare trame violentemente inafferrabili.
Heaven Is Here scorre veloce, con una durata minima di 1’ e 32” ed una massima di 2’ e 44”, eccezion fatta per i dieci minuti di Perverse , ovvero una sorta di “suite” di pittura sonora a metà tra noise e ambient metal. Heaven is Here si muove saltellando felicemente tra qualche inserto techno, alcune divagazioni noise, ed un imprinting di base che richiama sempre lo shoegaze. I Candy vogliono stare lontani dalle ovvietà di genere, e con Heaven Is Here mettono a segno un album che naviga sospinto da slanci d’intraprendenza giovanile e la ponderatezza di una maturità che inizia ad intravvedersi all’orizzonte.
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