Testament,The Brotherhood Of The Snake

recensione
Se “The Formation Of Damnation” (2008) e “Dark Roots Of Earth” (2012) sono perle musicali la cui qualità delle composizioni, associata a una potenza esecutiva fuori dal comune, sembravano difficile da ripetere, ecco che “The Brotherhood Of The Snake” (2016) è arrivato nel momento giusto: a confermare la statura della metal band californiana e a stupire l’ascoltatore.
“The Brotherhood Of The Snake” è un album dominato dalla potenza: in ogni brano, la band trasuda rabbia, sudore, sofferenza, ma porta anche quella sana dose di violenza musicale benefica. Ogni elemento della band si distingue con il suo strumento, a partire dalla sezione ritmica, con il basso di Steve DiGiorgio e la batteria di Gene Hoglan in piena sintonia. Tuttavia, sta nelle chitarre...
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il vero punto di forza, con Eric Peterson e Alex Skolnick a spartirsi le parti lead e le ritmiche.
Apre la titletrack, che racchiude certa versatilità nel suo essere tagliente e grintosa. Differentemente, “The Pale King” è una vera e propria dichiarazione di guerra, il brano che più conferma il ruolo centrale di Chuck Billy dietro il microfono. “Stronghold” è un brano attuale ma dal sapore antico, quasi riconducibile a “The Legacy” (1987), il disco di esordio dei Testament.
Arriva quindi “Seven Seals”, il brano più chitarristico e tecnico; probabilmente il migliore del lotto ma certamente la fotografia perfetta di quello che sono i Testament oggi. “Born In A Rut” si ricollega al disco precedente (“Dark Roots Of Earth”, 2012) in quanto a matrice oscura e crepuscolare, mentre “Centuries Of Suffering” è un brano talmente cattivo e diretto che riconduce a certi episodi di “Demonic” (1997), l’album più violento della discografia dei Testament.
“Black Jack” pare riecheggiare quel che erano Chuck Billy e compagni all’epoca di “The New Order” (1988) o “Souls Of Black” (1990), mentre a mettere ordine al tutto ci pensa “Neptune's Spear”, puro thrash in stile Bay Area.
E’ quindi la volta di “Canna-Business”, che si differenzia dal mood degli altri brani per il suo arrangiamento strutturato ed articolato, e poi è la volta della chiusura, affidata a “The Number Game”, una fucilata di assoli di chitarra che rimarca lo stato di salute di una band in grandissima forma sotto il profilo tecnico, compositivo ed esecutivo.
I Testament paiono non sbagliare mai un colpo e questo “The Brotherhood Of The Snake” ne è una nuova ed ulteriore testimonianza…
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