MUSE Will Of The People
recensione
Bellamy ha ribattezzato Will Of The People un “nuovo concept fondato sulla condizione di un uomo vessato dalla distopia in cui si trova a vivere”, ma la verità è che il nuovo album è molto più un’accozzaglia di quei tre pilastri tematici sopracitati. Ma procediamo per gradi.
Will Of The People apre in maniera bombastica l’album, e lo fa con una traccia basilare sul piano dell’intelaiatura, arricchita però da chitarre decise, sovrastrutture synthetiche e cori martellanti. Non serve andare oltre la seconda traccia per far sì che i Muse si tuffino nel synthpop di quella Compliance che, comunque, è già un must durante gli show dal vivo. L’iniziale pianoforte di Liberation è solo il preludio di un brano che mescola di nuovo...
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le carte in tavola e si produce in un non-dichiarato tributo ai Queen più teatrali.
Con Won’t Stand Down, e poco dopo cone Kill Or Be Killed arriva il momento di quella svolta “metal” tanto vociferata prima dell’arrivo dell’album... Se amavate l’idea di un taglio più heavy da parte del gruppo,questi due brani vi faranno ricredere molto presto. Tra i due exploit più “tesi”, Bellamy non si lascia scappare l’opportunità di una di quelle ballad al pianoforte che gli riescono tanto bene. Con Ghosts sembra quasi di assistere ad uno sposalizio tra Muse e Coldplay, ma Bellamy è un performer navigato, e Ghosts risulta uno dei brani meglio strutturati del lotto. Di tutti brani citati, ma così come accade anche in Verona, nella manieristica You Make Me Feel Like It’s Halloween, on in Euphoria, i temi (sia sul piano dei testi, sia sul piano melodico) finiscono per soccombere sempre troppo ad un esercizio di stile che sembra “imposto” e poi non così tanto naturale
We Are Fucking Fucked, con un titolo tanto esplicito quanto imbarazzante, riassume bene le sensazioni opposte che possono scaturire da Will Of The People, un album in cui - virtualmente - quasi ogni brano funziona, eppure difficilmente lascia un segno abbastanza profondo.
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