THE DECEMBERISTS "As It Ever Was, So It Will Be Again"

recensione
La band, originaria di Portland (Oregon) e capitanata dal versatile Colin Meloy (cantante, chitarrista, compositore, scrittore per ragazzi), non pubblicava un nuovo lavoro da sei anni. Inoltre, l’album precedente (lo sperimentale I’ll Be Your Girl) aveva fatto intendere un netto cambio di rotta, soprattutto in termini di arrangiamenti. Non si sapeva bene, dunque, che cosa aspettarsi: direzioni ancora diverse? Un generale assestamento? Un comeback rivolto al passato? Ebbene, i Decemberists sono tornati per raccontarcelo in prima persona e per spiegarci, in musica, chi sono oggi e dove vogliono andare, confermando l’intenzione di restare fedeli ai propri trascorsi ed evitando, almeno per adesso, ulteriori improbabili sbandate (da cui la conferma che I’ll Be Your Girl sia effettivamente stato concepito come un capitolo a sé stante).
As It Ever Was, So It Will Be Again riporta la band di Meloy e soci così come li abbiamo sempre conosciuti e amati, fin dagli esordi di Castaways And Cutouts (2002). La...
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forma pare smagliante e i nuovi brani della band non temono confronti: potremmo addirittura sbilanciarci nell’affermare che – assieme a The King Is Dead (2011) e What A Terrible World, What A Beautiful World (2025) –
questa nuova release discografica sia a tutti gli effetti l’ennesimo capolavoro capace di raccogliere i frutti di un processo di crescita in atto da quasi un quarto di secolo, di celebrare la ritrovata ispirazione del leader (principale autore di testi e musiche) e di regalare a chi ascolta l’istantanea di un quintetto musicalmente collaudatissimo.
Colin Meloy (voce, chitarra acustica ed elettrica), Chris Funk (bouzouki, mandolino, banjo, chitarra elettrica), Jenny Conlee (fisarmonica, piano, organo, sintetizzatori), Nate Query (basso, violoncello) e John Moen (batteria e percussioni) riescono a catapultarci – grazie anche alla supervisione del produttore Tucker Martine – in un’opera dai contorni immaginifici, al punto da dare l’impressione che ogni brano sia quasi un piccolo racconto in musica: dall’anima R.E.M. dell’iniziale Burial Ground alla scalcagnata Oh No! (il riferimento a Tom Waits è quasi d’obbligo), dalle sonorità folk rock di The Reapers alla nuda ed essenziale William Fitzwilliam.
Un discorso a parte riguarda il già citato Joan In The Garden, posto in coda all’album. Un brano lungo, torrenziale, che nei suoi 19 minuti e 20 secondi, ha letteralmente diviso la stampa italiana e internazionale. Per alcuni una traccia opinabile, eccessivamente estesa; per altri, una meravigliosa cavalcata con evidenti echi di stampo progressive. La composizione si avvale di un ospite speciale (Mike Mills, una coincidenza?) e, dopo i tanti micro-capitoli precedenti, chiude in modo maestoso ed epico As It Ever Was, So It Will Be Again. Se questo significa riavere tra noi i Decemberists, teniamoceli stretti e godiamone tutti...
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