ART OF ANARCHY The Madness

di Susy Marinelli
03 giugno 2017

recensione

ART OF ANARCHY
The Madness
Century Media
Da “semplice” trio heavy metal tradizionale, i due fratelli Jon e Vince Votta insieme con Ron “Bumblefoot” Thal si sono ritrovati tra le mani un supergruppo di alto rango. Questo, infatti, sono gli Art Of Anarchy, una specie di zona franca dove i Guns'n'Roses incontrano i Disturbed insieme ai Creed. Di certo la band può contare su un line-up entusiasmante, soprattutto per gli amanti del post grunge e dell'alternative metal, attualmente composto da Jon (lead guitar, chitarra ritmica e vocals), Vince (batteria e percussioni), l'ex Guns'n'Roses Ron (lead guitar e backing vocals), John Moyer dei Disturbed (basso e backing vocals) e Scott Stapp dei Creed (lead vocals). Scott, che è subentrato al cantante Scott Weiland (allontanatosi dagli Art of Anarchy poco prima della sua tragica scomparsa avvenuta alla fine del 2015) ha contribuito a rendere The Madness un album solido, fresco, ed ispirato. Una vera combinazione di cinque personalità distinte, ha dichiarato in proposito Ron “Bumblefoot” Thal, che oltre a suonare, il disco lo ha anche prodotto, dove ognuno di noi si è messo al servizio di ogni singolo brano. Avrei potuto fare assoli di prog metal, ma ho preferito concentrarmi sulle melodie perchè...

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questo era ciò che questo album mi richiedeva. I brani sono stati il mio boss.

Tra i brani più significativi emerge sicuramente Echo of A Scream, con un incredibile lavoro sulle chitarre, che spiccano in un graffiante assolo - che subentra nella seconda metà e la voce di Stapp che qui rimanda molto alle performances di Weiland senza compromessi - merito dell’opera congiunta di Jon e Ron; quindi il gioiello alternative rock 1000 Degrees, dal testo toccante, che in bocca a Scott Stapp ha il sapore di un racconto autobiografico. Si torna poi al predominio dei riff di chitarra, che con la loro spirale trasportano nell'atmosfera torbida di No Surrender. Per la melodia bisogna aspettare di arrivare a Won't Let You down, che si dimostra la traccia con le partiture più originali ed elaborate di tutto il cd. Una melodia solida e imponente sorregge A light in Me e Somber, che traghettano fino al brano di chiusura, Afterburn, buona anthem per l’air-guitar. Un album per nulla monotono The Madness, che si snoda tra un'influenza e l'altra pur mantenendo stretto il contatto con l'heavy metal, e che mostra grande qualità sia per quanto riguarda i testi, molto profondi, sia nelle performance dei vari strumentisti. Promosso Scott Stapp, la cui missione, quella di non ricalcare passivamente le orme del fuoriclasse Scott Weiland, non era per niente facile. Forse la rinascita degli Art of Anarchy si deve in gran parte proprio al loro nuovo frontman.

RON “BUMBLEFOOT” THAL



Gli addetti ai lavori hanno giudicato The Madness un album che musicalmente segue le orme del vostro precedente Art Of Anarchy. Sei d'accordo?
Secondo me questo nuovo lavoro mostra un'evoluzione del gruppo e nello stesso tempo il nostro modo per ricominciare. Tutto parte dal fatto che Art of Anarchy era nato da coincidenze un po’ strane. Io e i fratelli Jon e Vince Votta eravamo già amici da vent'anni, siamo praticamente cresciuti insieme, così nel 2012 quando loro si sono ritrovati in studio per fare un disco hanno avuto l'idea di chiamarmi, ed io ne sono stato estremamente contento perché sapevo che erano tipi in gamba, conoscevo il loro amore per il metal, quello vecchio stile, e sapevo che avrebbero fatto un disco senza compromessi. L'idea originale per metter su gli Art of Anarchy è nata da noi tre e la nostra intenzione all'inizio era quella di alternare vari cantanti.

A quel punto però è arrivato Scott Weiland...
Sì, lui cominciò subito a lavorare al disco ed a scrivere canzoni, doveva comporne una sola, ma finì per fare tutti i pezzi della tracklist. Dopo di lui è arrivato il bassista John Moyer e così la band si è evoluta rispetto al piano originale. Adesso però siamo ancora più solidi di prima.

Continuiamo con la storia degli Art of Anarchy...
Sì, Scott Weiland uscì dal gruppo quasi in concomitanza con la pubblicazione del disco. Noi ci trovammo a dover cercare un nuovo cantante. Avevamo una lista molto breve e il primo nome era quello di Scott Stapp, così volammo in Florida per fare dei provini con. Con Scott a far parte del gruppo iniziammo subito a lavorare a The Madness nel mio studio di New York. Abbiamo fatto delle jam, siamo partiti da pochi appunti, e abbiamo fatto tutto molto velocemente, in due settimane circa.

Come chitarrista quanto credi che il tuo sound si sia evoluto con The Madness?
Per la prima volta nella mia vita mi sento di essere parte della band che ho sempre voluto. Ho cominciato a suonare a sei anni ed è da allora che sogno di far parte di un gruppo come i Beatles o i Kiss, dove conosci i nomi di tutti i componenti e già a nominarli ti fanno pensare alla musica. Se dici Paul dici Beatles, nomina Gene e non puoi non pensare ai Kiss, ognuno ha la sua identità capito? Cosa che, in un certo senso, accadeva anche con i Guns 'n' Roses. Negli Art of Anarchy ognuno fa la sua parte, siamo tutti alla pari. La voce di Scott è inconfondibile, così come il groove di basso di John e il lavoro dei fratelli Votta… infine ci sono un po' di pazzie che faccio io con la chitarra.

Qual è la tua song favorita di The Madness?
Amo molto l'assolo di chitarra di Echo of A Scream e credo che Changed Man sia una buona ballad, ma il pezzo a cui tengo di più è probabilmente Won't Let You Down. Pensa che lo scrissi quando avevo soltanto diciotto anni. Ad un certo punto mentre lavoravamo in studio a The Madness ho ripensato al riff di quel brano e l'ho voluto usare per Won't Let You Down. Insomma, ci sono voluti ventitrè anni prima che questo pezzo potesse finalmente uscire dal ripostiglio!

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