INCUBUS 8

di Arturo Celsi
03 agosto 2017

recensione

INCUBUS
8
Island Records
Durante gli anni riguardo agli Incubus se ne sono sentite davvero di tutti i colori, soprattutto da parte di chi, in stoica difesa dei generi estremi come monoliti inscalfibili dal pop più melodioso e frivolo, ha sempre guardato Brandon Boyd di sottecchi. La realtà è che non tutte le critiche erano infondate, ed a dimostrare la debolezza strutturale della proposta musicale è stata la band stessa, che nel corso della sua discografia si è esibita in una proverbiale discesa che ha portato, ad esempio, alla tragica e velocissima caduta di If Not Now, When? (2011) dai piani più alti delle classifiche.

Gli Incubus sono tornati nel 2017 con un nuovo album, l’ottavo, e non si può certo dire che l’attesa per l’arrivo di 8 sugli scaffali dei negozi fosse di quelle insostenibili. Malgrado il generale disappunto nei confronti del gruppo, il nuovo prodotto discografico meritava comunque il privilegio di un ascolto, fosse anche solo per constatare il punto finale nell’esaurirsi di idee che sembra aver attanagliato l’ensemble. Senza tanti giri di parole bisogna affermare immediatamente che le cose sono migliori di quanto il precedente If Not Now, When? lasciasse presagire, ma non si...

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facciano subito grandi preparativi per festeggiare.
8 non interrompe la tendenza di distaccamento dai fasti di S.C.I.E.N.C.E. (1997), A Crow Left of The murder (2004), o Fungus Amongus (1995), gli episodi degni di nota sono pochi, ma ci sono, e purtroppo questa è da prendersi come una buona notizia. La spinta ruvida di Nimble Bastard e No Fun, le danze di When I Became A Man, oppure il fluttuare di Make No Sound In The Digital Forest, sono tutti buoni episodi in una scaletta che in generale non riserva sorprese eclatanti; gli spunti più tesi e grezzi, fatti di chitarre taglienti e dal clangore talvolta fin troppo accentuato, non sono l’emblema di un ritorno ai tempi in cui la band dava ancora qualche motivo per essere associata al filone nu-metal, 8 è un album che guarda finalmente in maniera onesta al pop rock, senza nascondere la mano dopo aver tirato il sasso.

Allo stesso tempo non ci si aspetti però un album sulla scia di Morning View, dal quale il gruppo ha ripreso soprattutto la puerilità dei testi e la docilità generale degli arrangiamenti; 8 è la prova discografica di una band che doveva dimostrare di avere ancora un minimo di corpo, e che con i quaranta scarsi minuti di una tracklist riuscita per metà (circa), risale la china giusto per tornare a galleggiare. Se non avete mai ascoltato gli Incubus, 8 non vi farà certo del male, ma certo non vi spingerà ad approfondire l’argomento oltre il termine del brano che chiude il suo dispiegarsi.

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