Massimo Severino

di Angelo Cipollone
29 gennaio 2018

recensione

Massimo Severino
"The Banched Tree"
Hydra Music
“Il valore di un’orchestra, dipende dal valore del bassista...” Questa massima calza a pennello con l’ultimo lavoro del partenopeo Massimo Severino, compositore, insegnante, bassista e contrabbassista, il quale ha composto, orchestrato e diretto le sei tracce del suo “The Branched Tree”, concepito come una jazz suite in sei movimenti.

Vale la pena ricordare che la suite (in francese successione), nell’accezione classica del termine, è un insieme di brani per uno strumento solista, un ensemble da camera o un'orchestra, correlati e pensati per essere suonati in sequenza. Nel caso in specie, in luogo dei classici movimenti (in ordine: allemanda, corrente, sarabanda e giga), si susseguono stilemi legati al jazz, dallo swing al latin. (Severino è un musicista dal curriculum di gran spessore, che spazia dalle docenze in conservatorio alla militanza in gruppi pop, alla direzione di big band, alla composizione di tipo cantautorale).
Partendo dalla prima traccia dell'album – ma sarebbe più corretto dire dal primo movimento – non si può non rimanere incantati dalla qualità degli arrangiamenti, soprattutto per quanto riguarda i fiati, splendidamente suonati da Antonio Bocchino (sax), Gianfranco Campagnoli (tromba/flicorno), Alessandro Tedesco (trombone) e Marco Sannini (flicorno) che, proprio in questo primo movimento, regala all'ascoltatore un ottimo assolo....

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Completano l’organico Antonio Perna (autore anch’egli di un pregevole assolo), e Domenico De Marco (batteria), il quale supporta abilmente ogni tipo di ritmo e di dinamica e, naturalmente, Massimo Severino, impegnato con basso, tastiere e percussioni.
In questo disco sono le composizioni a regnare sovrane; Severino non si lascia tentare da lusinghe solistiche, mettendo il suo strumento, magistralmente suonato, al servizio della musica, in un disco che va ascoltato tutto d’un fiato, senza interruzione.

Scorrendo le varie tracce, si incontrano diversi ospiti di lusso. Il primo è il sassofonista Bob Mintzer, (musicista statunitense che ha suonato con Eumir Deodato, Tito Puente, Buddy Rich Big Band, Jaco Pastorius, Yellowjackets, solo per fare nomi…), il quale regala due splendidi assoli: uno con il sax soprano sul secondo movimento, e con il tenore sul quinto movimento. Autore di due assoli superlativi alla chitarra, è Gianfranco Continenza, ulteriore special guest, riconoscibile per originalità fin dalle prime note. Impegnato in tutte le tracce dell’album (ad eccezione dell’ultima), si riconferma uno dei chitarristi e compositori più interessanti del panorama jazz/fusion internazionale (come il leggendario bassista statunitense Mark Egan sancisce nelle note di copertina). In particolare, il secondo assolo si mostra decisamente intrigante, per una sorta di staffetta solistica in cui Mintzer passa il testimone allo stesso Gianfranco.

Molto sofisticata è la ballad che chiude il disco, nella quale compare l’elegante chitarra di Piero Condorelli, autore peraltro di un assolo magnifico. Qui i fiati cedono il posto al timbro stupendo di Manuela Francia, la cui voce trasporta l'ascoltatore in un universo onirico, là dove l’inno alla vita diventa un inno alla musica.

In definitiva, un album maturo, molto ben suonato, godibile e complesso, tanto nella scrittura quanto nell’ascolto. Un album in cui la qualità dei suoni fa il paio con la valentia dei musicisti coinvolti; come testimonia lo stesso Mark Egan, che firma una nota di copertina, lusinghiera e particolareggiata, illustrando autorevolmente più di un motivo per cui questo album non può mancare nella collezione di ogni appassionato.

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