Starfish, "Starfish"

di Dario Guardino
01 dicembre 2017

recensione

Starfish
Starfish
Starfish Band
Opera prima per gli Starfish, la blues band campana capitanata da Luigi Panariello alla chitarra, astro nascente del blues made in Italy. Un album che, titolato con il nome della band, raccoglie 9 tracce inedite che trasudano blues... di quello grasso e verace.

Apre Hey Bartender, uno shuffle blues eseguito con un tiro da paura: se la sezione ritmica composta da Marcello Aquino e Salvatore Di Casola (rispettivamente bassista e batterista) è un meccanismo ad orologeria perfetto, Panariello incalza da vicino Marco Sorrentino, vocalist della band, come nella migliore tradizione blues.
It’s Nothing But The Blues vira su territori funkeggianti nella ritmica e, soprattutto, nell’intenzione, ovvero nel portamento. La Strato di Panariello si destreggia mirabilmente sui cambi di accordo, sfoderando un fraseggio maturo e mai banale. (Il mixaggio è un’altra arma vincente di questo album: ogni strumento è messo bene a fuoco, il sound è caldo, la chitarra bene in evidenza).

Fat Chicks è una traccia di grande respiro, il cui mood trasporta l’ascoltatore fra i canyon americani, con lo slide di Panariello in bella evidenza; poi si passa allo slow, ovvero a Hard Life, che vede la presenza di Raffaele Polimeno alle tastiere. Si tratta di una...

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soul ballad scritta davvero con gusto, la cui armonia, pur ricalcando stilemi classici, si distingue per lo sviluppo, soprattutt nella parte B. Marco Sorrentino offre una performance vocale da far tremare i polsi, mentre Panariello, supportato dalla puntualissima sezione ritmica e dal tappeto costituito dalle tastiere di Polimeno, si lascia andare in fraseggi carichi di pathos.

Con If I Screw You si torna nei territori rock blues. Power chords, cori in falsetto ammiccanti ed un Panariello estremamente convincente anche nei panni di rocker, pur con la sua indole blues, pari a un marchio impresso a fuoco. Vagina Connection è l’unico strumentale dell’album: ipnotico quanto basta, quasi un divertissement che a tratti pare sfociare nella psichedelia, salvo poi rientrare in territori blues con una coda slide degna del miglior Cooder ma addizionata da steroidi.

Nel suo essere percussivo, Hey Lord – Hey Father è un brano declamato più che cantato da Sorrentino, sorretto da cori che richiamano la tradizione gospel; poi si passa a Love Gone Bad che vede la presenza di Luigi Roskito all’armonica a bocca, già protagonista nell’opening track. Questa traccia torna su sentieri del rock blues, nei quali la sezione ritmica viaggia come un treno mentre i leader, Sorrentino e Panariello, si scambiano più volte il testimone.

L’ultima traccia, Around The Clocks Blues, consente di respirare a pieni polmoni il blues rurale, con il solo Panariello ad accompagnare Sorrentino. Il feeling tra i due c’è ed è totale, l’acustica di Panariello è il perfetto complemento del frontman campano.

Cosa dire in definitiva? Starfish è un disco schietto e sincero, ben registrato e mixato e, soprattutto, ben suonato. I membri della band sono amici di infanzia, la cui cosa si ripercuote nel feeling e nell’interplay generale.

Per i più feticisti (quale chitarrista non lo è?) e, perché no, per “farci del male”, veniamo alla strumentazione utilizzata da Panariello. Fender Super Reverb Amp del 1965, più un classico Marshall JCM 800. Fender Stratocaster CS Shell Pink, PRS Custom 22, Fender Tele Reissue 52, Gibson 335 (in Hard Life) e Gibson Les Paul del 1989 (in If I Screw).


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