John Scofield Past Present

di Paolo Battigelli
28 maggio 2016

intervista

JOHN SCOFIELD
Past Present
Formazione quadrangolare per Past Present, l'album che parla il linguaggio del jazz contaminato da sapori ed atmosfere d’altro stampo. Futuristic blues, come lo definisce lo stesso John Scofield!

La generazione di musicisti jazz sbocciata negli anni Settanta è stata particolarmente ricca di chitarristi. Pensiamo soltanto a Pat Metheny, John Abercrombie, Bill Frisell, Mike Stern e, appunto, John Scofield: tutti in possesso del loro suono e di una naturale predisposizione per l’improvvisazione.

John Scofield (classe 1951), si avvicina al jazz nel 1969, dopo una lunga esperienza in ambito R&B e soul. Il jazz rock è al suo stadio iniziale, e John ha l’opportunità di assistere e far parte della sua età dell’oro. Suona straight jazz con Gerry Mulligan e Gary Burton, anche se il suo vero debutto in società avviene nella band di George Duke (keyboard) e Billy Cobham (drum), in cui milita anche il bassista Alphonso Johnson.

A New York Scofield suona con Dave Liebman e Steve Swallow [che lo influenzerà moltissimo] sino a che, nel 1982, si unisce alla band di Miles Davis ed al suo jazz funk.
Nel 1989 firma un contratto con la Blue Note ed inizia un lungo e...

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prolifico sodalizio con il celebre sassofonista Joe Lovano. [Un album su tutti? What We Do]. In quel periodo, dietro i tamburi c’è Bill Stewart ed il combo fa scintille.

Oggi Scofield aggiorna la formazione dei primi anni Novanta: con Bill Stewart e Joe Lovano, più il bassista Larry Grenadier [Dennis Irwin è scomparso nel 2008 per una brutta malattia] e con loro pubblica l’odierno Past Present, l’album capace di sposare jazz, funk e R&B in modo organico ed incisivo. “Sono i miei più cari amici..." - confesserà lo stesso Scofield - “e suonare con loro mi procura una gioia immensa!”

I nove brani che compongono Past Present riflettono il modo in cui Scofield intende il jazz: l’importanza di conoscerne la complessità e la profondità delle radici, mantenendo quella spontaneità che lo rende fruibile al più vasto range di appassionati. E per un artista poliedrico, con una discografia vasta ed eterogena, arrivare alle radici del jazz significa anche risalire il corso del blues, come dimostra la titletrack, posta non a caso in chiusura di scaletta.


Past Present, lineup
John Scofield (guitar) - Joe Lovano (sax tenore) - Larry Grenadier (basso) - Bill Stewart (batteria)

Equipment
Ibanez AS-200 Guitar - Takamine & Martin Guitars -Vox Amp - MesaBoogie Amp - ProCoSound Rat Distorsion Pedal - Ibanez Analog Chorus Pedal - Boss Eq Pedal - Digitech Whammy Wha Pedal - Boomerang Phrase Sampler - Boos Loop Station - Line6 Delay & Filter Pedals

Past Present è un album introspettivo e... molto personale.
Già. Ciò che volevo, era semplicemente suonare alcuni brani di jazz. Poi, naturalmente, la marea di eventi personali che mi ha quasi sommerso, la morte di mio figlio Evan e tutto il resto, hanno finito con influire sulla sua realizzazione. Tuttavia, riguardo ai connotati musicali, si tratta appunto di jazz.

Nell'album sei circondato da grandiosi musicisti come Joe Lovano, Bill Stewart, e la new-entry Larry Grenadier. Un ritorno al leggendario quartetto degli anni Novanta?
Non è un mistero che quegli anni siano stati i più prolifici e artisticamente gratificanti. Mi sono sempre trovato a mio agio nella formazione a quattro, in cui la suddivisione dei ruoli è più netta, ed i suoni e la mescola degli strumenti, più omogenei e completi. Come i lati di un quadrato le cui diagonali convergono in un punto centrale, il fulcro. Larry [Grenadier] è un musicista fantastico. Per di più, ha già suonato con me in passato: se ben ricordo nel 1996, nel corso del tour di Quiet. Inoltre, ha fatto a lungo parte del trio di Brad Mehldau, un’ulteriore segno di garanzia. Di Larry adoro la definizione del sound e la capacità di esprimersi col basso in strutture standard senza tuttavia attaccarsi alle regole canoniche: un approccio che ne esalta la creatività. Nel 1999 ha iniziato la collaborazione con il Pat Metheny Trio, affiancato proprio a Bill Stewart, uno dei più grandi batteristi odierni. Dico tutto questo per sottolineare gli ingranaggi ben collaudati su cui poggia questo quartetto.

Per non parlare allora del sodalizio con Joe Lovano!
Una collaborazione nata appunto negli anni Novanta, con la pubblicazione di What We Do uscito per la Blue Note. Nel corso del tempo, ci siamo incontrati e lasciati più volte, ma mai persi di vista. Tra noi c’è un interplay speciale: il suono aspro e quasi arcigno del suo sax tenore, si fonde perfettamente con il suono fluido e talvolta elusivo della mia chitarra. E’ una alchimia che, credimi, non abbiamo mai ricercato a priori, ma fuoriesce spontaneamente. Credo dipenda dall’empatia, dal rispetto reciproco e dal fatto che amiamo la stessa musica. Ho sempre adorato il suo modo di suonare, sin dalla prima volta che l’ho sentito, quando eravamo ancora studenti del Berklee. Da allora l’ho seguito in tutte le band in cui ha militato, cominciando da Woody Herman e Jack McDuff; così come lui veniva ad ascoltare me. Ricordo ancora quando, con Billy Cobham dietro i tamburi, imbastivamo torride jam in casa dei suoi genitori!

La formazione aveva spiccato il volo con l'arrivo di Bill Stewart!
Ogni tessera del mosaico era andata immediatamente al suo posto. Bill era fenomenale. Allora, come oggi, una presenza importantissima: il suo suono e beat ed il modo in cui funge da propulsore per la band, rimangono unici. Un signature sound, come si suole dire.

Torniamo a Past Present. I brani in scaletta sono tutto ciò su cui avete lavorato, o esistono delle outtakes?
Ci sono altre tracce, o meglio altri abbozzi, ma quelle in scaletta sono senza dubbio le migliori su cui abbiamo lavorato. Abbiamo registrato due ulteriori tracce, destinate però come bonus track: una riservata all’edizione dell'album giapponese e l’altra riservata ad iTunes.

Ti riferisci a Weird Hands e Pedals Out?
Esattamente. Il loro mood è simile: free jazz style piuttosto ricercato e poco accessibile...

Perché hai scelto Past Present come titolo e hai definito l’album, futuristic blues?
Perché rispecchia quello che è il messaggio, il contenuto del disco. Mi riferisco al fatto che il passato non scompare mai, ma rimane in noi rivivendo nell’attualità di tutti i giorni. Ad esempio, la struttura del brano Past Present sfodera una linea di basso suonata in maniera piuttosto heavy per essere jazz. Pur se, riascoltando certe cose di Count Basie, ci si accorge che spesso piano e basso erano suonati quasi tipo un loop . Riguardo alla definizione futuristic blues, è perchè l’album parla la lingua del blues: non quello della tradizione, ma quello contaminato da altri mood. Insomma, il blues del futuro. Per ogni tipo di musica che suoni, devi fare riferimento alle sue radici e, al contempo, guardare avanti ed essere spontaneo e cangiante. Nulla meglio del jazz può fare tutto questo.

Approfondiamo il discorso sui brani in scaletta... Slinky sfodera una chiara impostazione soul jazz...
Mi sono divertito a suonarlo! Qui la chitarra è abbastanza funky ed il riff di quelli che ti si appiccicano addosso da subito. Molto è anche il frutto dell’improvvisazione, soprattutto della ritmica. Anzi, in questo brano, il vero protagonista è Larry [Granadier] visto che il suo basso fa scintille!

Chap Dance ha un che di country: sei d’accordo?
In parte. E’ innegabile il suo sapore country, ma è solo la punta dell’iceberg. Personalmente lo reputo più vicino a quel genere di musica che viene definito Americana, e dunque ad autori come Aaron Copland e a certe produzioni di Broadway, tipo Oklahoma! Ho sempre amato quegli attori di Broadway vestiti da cowboy, con i copri-pantaloni di pelle che danzano gettando in aria i loro cappelli!

Dal canto suo, Museum ha una storia particolare...
Un museo della città in cui vivo, alle porte di New York City, mi ha chiesto di comporre un brano per il suo sito web. Il direttore del museo è un mio amico e così ho accettato: ne è nato un brano jazz che ha funzionato. Ho deciso allora di svilupparlo, sino a che si e' trasformato in un qualcosa di molto diverso dall’originale. Così è nato Museum.

Ti va di darci un cenno sui brani ispirati dalla vicenda di tuo figlio Evan?
Quando ho composto Get Proud, Enjoy The Future e, soprattutto, Mr Puffy ero in pieno travaglio emotivo. La tragedia di Evan è stato un colpo tremendo, come può esserlo solo la morte di un figlio e, naturalmente, questi brani sono strettamente legati ad essa. Ho iniziato a scriverli mentre Evan era malato e i titoli Get Proud ed Enjoy The Future si riferiscono a frasi che ripeteva spesso, quasi a esorcizzare il male. E’ successo due anni fa, ma sembra ieri! Senza dubbio sono i brani più intimi e personali dell’album. Colgo l'occasione per dire una cosa che mi sta a cuore e riguarda Joe [Lovano] ed il brano Mr Puffy. In quel periodo, Joe mi è stato vicino... Ha visto nascere Evan ed era molto affezionato a lui... Ebbene, è evidente il suo trasporto, il suo profondo coinvolgimento emotivo nella registrazione di quel brano. Di questo gli sarò sempre riconoscente!

Ultima domanda: che chitarra è quella che abbracci nella foto di copertina di Past Present?
La stessa che ho utilizzato per quasi tutto l’album: la mia semiacustica Ibanez AS200 del 1981!

Past Present


Definito dallo stesso leader “futuristic blues”, Past Present vede Scofield e Lovano viaggiare all’unisono, separarsi in vigorose improvvisazioni e ricongiungersi infine sulla via maestra. Tuttavia, è anche un album introspettivo e personale dello stesso Scofield, il cui titolo trae ispirazione da una frase dello scrittore americano William Faulkner [“the past is never dead. It’s not even past... ” tratta da Requiem for a Nun, 1951]: una riflessione sulla caducità della vita, legata alla prematura morte del figlio Evan, avvenuta nel 2013 a causa di un cancro. “Ci sono persone legate al nostro passato che vivono ancora con noi e per noi...” - confessa Scofield - “ Evan appartiene al passato, ma è sempre accanto a me!”

E’ proprio questo un punto nodale nella narrazione dei brani, espresso in particolare nei brani Get Proud, Enjoy The Future [due frasi che il figlio Evan era solito ripetere] e, soprattutto, tra i solchi di Mr. Puffy, il soprannome dato dallo stesso John a suo figlio, durante il periodo più doloroso, dato dalle pesanti cure a cui era sottoposto.

Get Proud è un brano dall’incedere blues magistralmente guidato dall'insinuante shuffle di Bill Stewart, in cui la chitarra di Scofield si fonde in modo perfetto con il sax di Lovano; mentre Enjoy The Future, come suggerisce il titolo, evoca un maggiore ottimismo, con John e Joe a innervare scintillanti linee melodiche, sostenuti da una ritmica puntuale ed elegante.

Dal canto loro, l’iniziale Slinky è un brano di chiara matrice soul jazz: riff di chitarra intrigante, groove in 5/4 di Stewart in stile New Orleans, e una brillante linea di basso di Grenadier, mentre Chap Dance sposa la simpatia per il country con quella, forse più spiccata, per le composizioni di Aaron Copeland e Ornette Coleman, mescolate con l’atmosfera in stile Broadway di musical come Oklahoma!

In scaletta vi sono quindi Hangover. (sorta di waltz con Scofield e Lovano a scambiarsi frasi eleganti), Season Creep (ulteriore blues stavolta dedicato alle variazioni climatiche) e Museum (in origine il clip promozionale del museo della città in cui Scofield vive e che ha trasformato in un’intricata escursione nel mondo del jazz).

Past Present è un album sfaccettato che, tuttavia, fa del jazz e di un certo blues non accademico [da ricordare che BB King è stato una delle maggiori influenze di Scofield) i suoi punti di forza.

Un album referenziale, certo, ma nell’accezione positiva del termine: in cui il chitarrista originario dell'Ohio, si conferma - se mai ce ne fosse bisogno - tra i più dinamici e creativi di sempre.

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